Rebus di un pubblico concorso, Teodoro Russo blog

Rebus di un pubblico concorso

Una vecchia rivista lasciata abbandonata, un enigmatico testo dall’autore sconosciuto che apre una finestra su uno strano paese con delle consuetudini bizzarre; un normale trasferimento in treno diventa improvvisamente un viaggio “ai confini della realtà”.

Ero arrivato in stazione di corsa, quel giorno.

Il treno stava quasi partendo. Salii solo un secondo prima che le porte si chiudessero. Il mio scompartimento era quasi vuoto. Posai la borsa, mi tolsi il cappotto e mi sedetti per prendere fiato. Intanto il treno, uscito di stazione, acquisiva velocità. Era uno di quei treni veloci che fa poche fermate, solo nelle grandi città e che, in poche ore, mi avrebbe riportato a Venezia da cui ero partito al mattino molto presto.

Nel guardarmi intorno rimasi sorpreso nel constatare quanti posti liberi ci fossero, fatto questo decisamente strano per una tratta quasi sempre piena di gente.

Il mio sguardo si fermò su una poltroncina poco distante su cui era stata lasciata una pagina, stropicciata e consunta, di una di quelle che sembrava essere una rivista di enigmistica o dell’immaginario. Meccanicamente la presi e a fatica cercai di leggere. Subito la mia attenzione fu colpita da alcune righe, quasi un rebus, che più o meno recitavano così:

“Vi è un certo paese in una qualche parte di questo mondo dove si può diventare sindaco vincendo un Pubblico Concorso. Per parteciparvi bisogna aver conseguito un determinato tipo di studi, essere scevri da qualsiasi crimine, quindi non aver commesso reati di sorta e poi occorre superare l’esame e la cosa è fatta! C’è poi da seguire un breve periodo di praticantato, tanto per imparare il mestiere e poi di punto in bianco si diventa Primo Cittadino”.

Vi fu un tale, racconta la storia, che partecipò a tale concorso e, benché avvezzo a tutt’altre cose piuttosto che amministrare e per di più una città, ma bravo a far tuonare la voce e raccomandato e sostenuto da chi nella vita non si capisce bene cosa facesse, vinse quel “Concorso” e, come si può immaginare, i risultati furono connessi e conseguenti. Anche se, si leggeva, stante la scarsità e la mediocrità di chi l’aveva preceduto, tutto passava quasi inosservato.

Anche la speranza che qualcosa cambiasse era così bella che sepolta!

Il sogno del Vincitore del Concorso, per la verità, era solo quello di non avere troppi grattacapi, favorire gli amici e cercare di non cambiare troppo le cose; perché, è risaputo, i cambiamenti, anche se necessari e indifferibili, creano sempre problemi. E poi, il pensiero ricorrente e consolatorio era quello che nessuno può fare a puntino tutto ciò che vorrebbe.

La sua teoria, di non cambiare le cose e vivere alla giornata, era forse figlia dei suoi trascorsi di vita, senza affanni e molta calma. Poi, con molta ponderazione e senza nessuna fretta, decidere di non decidere e rinviare tutto a data da destinarsi. I bisogni e le necessità altrui o della collettività erano cose secondarie e di poco conto. Per lui, comunque, era una vita di successo, limitandosi a partecipare a celebrazioni e ricorrenze. Scegliendo, si badi bene, con la doverosa cautela, dove, come e se partecipare, perché il suo particolare protocollo prevedeva di presenziare solo in quelle circostanze dove poter, anche consapevolmente solo per facciata, essere servito e riverito.

Questo, il nostro Homo quidam, ovvero il nostro vincitore del Concorso, grazie anche, è bene ricordarlo, alla fama e alle conoscenze in alto loco che si era procacciato, appunto, per analogia, non facendo assolutamente nulla. Conoscenze che, va detto, riuscirono anche molto utili in qualche momento in cui si trovò in difficoltà per “stupide e inutili bazzecole”, così da lui definite, per cose appunto non fatte o provvedimenti non presi.

Del resto, un cane che mangia un altro cane è cosa assai improbabile, ed è cosa che le persone perbene e “politicamente corrette” non dovrebbero nemmeno pensare.

Tutto naturalmente a favore del nostro immaginario Primo Cittadino di nomina dall’alto e da Concorso, che ne uscì più pulito e più baldanzoso di prima.

Per dei poveracci come io e qualcuno di voi, tali storie e peripezie non potrebbero che lasciare un segno indelebile ma, per il nostro amministratore, scelto e calato dall’alto e preparato a tali fatti, non possono che essere quisquilie. Anzi, per i suoi amici e sostenitori, non possono essere che fatti denigratori nei confronti di chi, per la città, si immola e si sacrifica!

A questo punto il foglio diventava illeggibile e il racconto si interrompeva.

Lo misi da parte, perché mi era rimasto il desiderio di conoscere non tanto chi avesse scritto tali righe o quale fosse il quotidiano che le aveva pubblicate, ma soprattutto il desiderio di sapere a quale personaggio, a quale città e a quale paese tra quei molti esistenti nell’intero pianeta, facesse allusione lo sconosciuto giornalista e scrittore.

E poi, in concreto cosa voleva mai dire: “Diventar sindaco per pubblico concorso”? Mistero!

Dei veri e propri rebus irrisolvibili, posta la mia limitata intelligenza, per cui a questi rebus non ho saputo dare fino ad ora un’adeguata e convincente risposta.

Foto: La Repubblica