Disaffezione per la politica - Teodoro Russo blog

Disaffezione per la politica?

“Non dava il popolo romano il consolato, e gli altri primi gradi della città, se non a quelli che lo domandavano. Questo ordine fu, nel principio, buono, perché e’ non gli domandavano se non quelli cittadini che se ne giudicavano degni […] sì che, per esserne giudicati degni, ciascuno operava bene.”
N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

Pensare è, in talune circostanze, elemento di afflizione, di preoccupazione. In altre, contributo essenziale per le nostre scelte, i programmi futuri per la nostra organizzazione. In altri casi, pensare ci porta indietro con la mente, ovvero riporta alla luce fatti o accadimenti vissuti, custoditi nello scrigno della nostra memoria.

Cogito ergo sum sosteneva a ragione Cartesio, ovvero “se penso esisto” e, non potendo dubitare quindi della mia esistenza, proprio perché soggetto pensante, in talune circostanze mi trovo a scrivere o meglio a cercare di trascrivere i miei pensieri, i miei ricordi, le mie osservazioni.

Scrivo perché mi piace, certo, mi diletta e paradossalmente mi incita a pensare e, tornando a Cartesio, rafforza in me il convincimento sul fatto che esisto e, se esisto, voglio farlo nel modo più consono e più a me gradito.

Scrivo perché così mi ricordo anche di tutte le persone che ho conosciuto, delle loro storie, di quelle che ho condiviso

e di cui ne ho particolare conoscenza. Una delle quali è quella che sto per iniziare a raccontare…

Erano gli inizi degli anni Novanta, epoca in cui in Italia si svolgevano i mondiali di calcio; la cosiddetta guerra fredda si era definitivamente congelata, non essendoci più le ragioni di esistere per il crollo dell’URSS; Gorbaciov riceveva il premio Nobel per la pace e la Germania celebrava la sua riunificazione. I pc ed i telefonini di allora, definiti portatili, cominciavano a diffondersi mentre io ero un giovane impegnato in politica, nonché Vicesindaco e Assessore ai Lavori Pubblici della mia città.

Essere al servizio della comunità e dei cittadini mi onorava e ne sentivo il peso e la responsabilità.

Anche per questo, cercavo di fare del mio meglio per essere loro vicino e dare risposte concrete alle loro istanze. Istanze che erano sempre numerose; talune delle quali, a onor del vero, anche da non prendere in considerazione. Ma una, in particolare, aveva attirato la mia attenzione – ancorché prima del mio incarico in amministrazione – e riguardava una certa zona della città che, pur ricadendo in territorio comunale, viveva uno stato di particolare disagio e degrado. Per motivi di privacy e riservatezza, non citerò persone conosciute in quella circostanza che vivevano e vivono in quei luoghi, di cui mai potrò dimenticare il nome e con alcune delle quali, ancora oggi – pur non vivendo più in quella città – sono particolarmente amico. Sembrava e sembra, tornando alla descrizione di quella località, terra di nessuno, pur avendo acqua ed energia elettrica. Una zona assai vasta per la verità: ovvero i terreni dell’ex Pio Istituto S. Spirito, oggi dell’ASL Roma 5, dove vivono e lavorano centinaia di persone.

Una zona cresciuta e sviluppatasi “naturalmente” nel corso degli anni, grazie alla necessità e alla laboriosità di quei cittadini che, pur vivendo in situazioni precarie, non hanno atteso enti e/o istituzioni che gli costruissero o dessero una casa. Casa che, pur modesta, con i loro sacrifici e con il loro duro lavoro si sono costruiti, con i figli prima e per i figli dopo. Una zona priva di qualsivoglia opera di urbanizzazione, strade, fognature, illuminazione ecc… mancanze tutte che non fanno altro che aumentare la distanza e la disaffezione dalle istituzioni locali, regionali e nazionali da coloro che vivono da decenni in questa situazione.

Ricordo perfettamente il clamore critico che ebbe allora, 35 anni fa, la mia iniziativa di sostenere la raccolta spontanea di fondi tra quegli stessi cittadini che già non vivevano in floride condizioni, per la realizzazione di una lingua di strada larga circa 3 metri. Quella stessa lingua che, dopo così tanto tempo, quasi non esiste più e che rappresenta l’unica vera e concreta manifestazione di vicinanza di quella Amministrazione. Da allora nulla o quasi è stato fatto per ricucire al normale tessuto cittadino quell’area, né in termini di interventi né in termini di regolarizzazione.

Questi stessi amici che citavo prima, però mi segnalano che, puntualmente in concomitanza delle elezioni amministrative e/o regionali, un nugolo di pseudo amministratori locali raggiungono questo luogo, direi dimenticato (per fortuna non da Dio ma dai politicanti sì) per spendere un fiume di parole e di promesse che, da 35 anni e più, non vengono mantenute.

È uno scandalo! Certamente lo è!

Ma a chi andarlo a dire e raccontare? Chissà, forse qualche “volenteroso”, questo è il termine oggi usato in simili circostanze, leggerà pure questa pagina, questa storia, che seppur riportata solo da un periodico locale, prenderà a cuore e sul serio l’istanza e il sogno di tanti cittadini illusi e delusi da troppi anni.

È questo un modesto (neanche tanto) ma calzante esempio sul perché gli italiani non credono più alla politica e lo scadimento è sotto gli occhi di tutti. Con l’aumentare del divario tra la politica e i cittadini, cresce anche il declino economico e demografico del Paese. Perdiamo importanza a livello europeo dove non siamo più credibili; nel mondo siamo il paese degli spaghetti, pizza e mandolino.

Facciamo la metà dei figli che i nostri nonni facevano all’epoca di Caporetto

e dei nostri padri dopo il 25 aprile 1945, perché non abbiamo più fiducia in noi stessi, nel futuro, nel Paese.

I politici di una volta, dovevano necessariamente parlare alle teste e colpire il cuore degli italiani. Oggi non devono far altro che parlare alla pancia dei cittadini, promettendo tutto e il contrario di tutto con il risultato che è sotto gli occhi di tutti. Nulla di quanto promesso e detto può essere fatto, ma intanto si è eletti in questa o in quella istituzione ed è quanto basta.
Gli italiani, non riescono più a concepire e a credere che una persona, una volta eletta, possa fare qualcosa di diverso dagli interessi di sé stesso o di qualche familiare.

Ed è così che si è passati da una partecipazione degli italiani al voto del 90% al tempo di Moro, Andreotti, La Malfa, Craxi e Berlinguer, al 60% delle politiche del 2022 e al di sotto del 50% delle ultime elezioni europee e regionali.

Questi dati, che dovrebbero lasciare attoniti gli addetti ai lavori, sembrano non interessare a nessuno o addirittura vengono ignorati come se fossero frutto di un normale periodo storico che attraversa il Paese.
Per natura, chi mi conosce, sa che non sono un pessimista, ma non dobbiamo e non possiamo più chiudere gli occhi e non renderci conto che siamo passati dall’operetta prima alla commedia poi, per essere destinati ad un paese da tragedia.