Il Natale de "O' Munaciello"

Il Natale de «O’ Munaciello»

I bambini spediscono la letterina; invece noi adulti, che da molti lustri non sappiamo più a chi scrivere, possiamo ancora sognare…

Saper vedere le cose nel modo corretto è importante in ogni circostanza, anzi direi assolutamente fondamentale. Di qui la necessità di approfondire le proprie conoscenze per vederci più chiaro e, se del caso, guardare avanti.

È sempre la vista, uno dei cinque sensi che madre natura ci ha donato insieme all’udito, l’olfatto, il tatto e il gusto, a legarci però a quella capacità nel linguaggio corrente, per capire meglio che cosa accade intorno a noi e nel mondo.

In molte situazioni, sentiamo forte il desiderio di vederci dentro ovvero di approfondire il nostro sguardo, proprio per comprendere quella o quelle verità che, potremmo dire, a occhio nudo o a prima vista sono quasi impossibili da cogliere.

Impossibile chiudere gli occhi davanti a certi accadimenti o fatti, nell’intima convinzione che non possiamo perdere di vista quello che sarà o potrebbe essere il nostro futuro o addirittura il nostro non-futuro.

Vedere è diventato, nel nostro interloquire quotidiano, nell’affrontare temi e problematiche, l’equivalente di capire, ragionare, studiare. È l’evoluzione della parola e del nostro modo di vedere le cose, partecipare e dare spiegazioni.

Ma anche la possibilità di guardare oltre per sognare, fantasticare e ritornare indietro nel passato a ricordare.

Per rivedere quelle immagini e rivivere quel tempo della nostra vita che non può più tornare, insieme ai nostri cari che ci hanno lasciato e che rivedremo un giorno – ne ho la certezza – quando li raggiungeremo in quel luogo così meraviglioso da cui nessuno mai è voluto tornare, neanche per poco tempo, per descriverlo o raccontarcelo. È proprio questo periodo Natalizio che più di ogni altra circostanza mi esorta a guardare indietro, al mio passato anche remoto, facendomi tornare alla mente persino quelle storie che, raccontate da mia nonna vicino al nostro modesto albero con poche palline colorate e poche luci, riuscivano a rapirmi e a portarmi lontano. Come per magia, quel semplice un po’ scarno alberello sembrava illuminarsi di mille lampadine di ogni colore che si rincorrevano e saltavano da ogni parte. Erano le luci del conforto e della speranza, della convinzione che la laboriosità e la rettitudine avrebbero acceso il nostro futuro.

E oggi, con quel pizzico di modesta saggezza conferitomi dal tempo trascorso, non posso non ringraziare anche quelle fiabe e storie fantastiche con le quali sono cresciuto, formandomi e per certi versi anche forgiandomi, dando vigore e temperamento al mio operare, sempre sostenuto e accompagnato da quella speranza in tempi migliori di cui quelle storie erano intrise.

Una fiaba in particolare mi rapiva e ad occhi aperti mi faceva sognare ogni qual volta mia nonna la raccontava.

Era una antica storia originaria della Campania, «‘O Munaciello» in dialetto napoletano, «Il Monaciello» in italiano, che altro non era che un piccolo personaggio, quasi uno gnomo, vestito con un saio da monaco e un cappuccio in testa. Girava di notte e qualche volta sostava nelle case, soprattutto povere, per soddisfare la sua grande curiosità. I pochi fortunati che di notte riuscivano a scoprirlo e a impadronirsi del cappuccio che portava, potevano chiedergli qualunque cosa in cambio: «’O Munaciello» li esaudiva perché, senza quel copricapo, lui non poteva andare via o scomparire.

Era così che, nei racconti sempre diversi, fantastici e immaginari di mia nonna, spessissimo era un bambino che riusciva nel sospirato intento di portargli via il cappuccio e quindi a indurre quel piccolo gnomo a lasciare in quella povera casa ogni ben di Dio, per la gioia al mattino dei genitori, dei fratelli e delle sorelle. L’eroe bambino, ossia quello che riusciva a sollevare le sorti dell’intera famiglia – famiglie che notoriamente nel Meridione erano come la mia, spesso numerose – è stato il terreno su cui si è sviluppato il culto della mia adolescenza e «’O Munaciello» ne è stato certamente un eccezionale fertilizzante.

È così che, in questi giorni, ho sognato ad occhi aperti, in una delle mie ormai tante notti insonni, di scoprire

il piccolo gnomo aggirarsi per la mia non così più povera casa, attirato da alcune noci già sgusciate di cui va ghiotto.

Mi sono nascosto e al momento opportuno… ZAC! Sono riuscito a prendergli quell’agognato cappuccio che troppe volte da bambino avevo sognato. «Che vuoi in cambio per restituirmelo?» mi ha chiesto.
Mi sono guardato prima intorno e poi dentro di me. Mi sono reso conto che non avevo bisogno di nulla se non di salute e lavoro. Ho pensato un po’ allora e ho cominciato:

«Vorrei che tutti i bambini e le genti di Gaza non soffrissero, non morissero più sotto i bombardamenti; che anche loro potessero vivere, non più di stenti e liberamente, senza patire la fame e la sete su un loro territorio; che fossero governati e amministrati da persone scevre di ogni vendicativo credo, anche religioso, e che facessero della convivenza fra i popoli e con i popoli, con gli Stati confinanti e non, il cardine di tutta la propria attività».

In quel momento come per incanto, un altro “Munaciello” è apparso, si è unito al primo e si sono presi per mano. Mi sono ripreso dallo stupore e ho continuato:

«Vorrei che lo scenario di guerra tra Kiev e Mosca cessasse, trasmettendo a quelle genti la convinzione che la guerra genera guerra, creando lutti e angherie agli assaliti come agli assalitori; che terminassero definitivamente e per sempre tutte quelle azioni che destabilizzano quell’area del Nord Europa e non solo, con il gravissimo pericolo di un allargamento del conflitto; che anche qui, quei governanti, responsabili di crimini e di efferatezze, unitamente ad altri più o meno volenterosi e desiderosi della pace in Europa e nel mondo, lavorassero insieme alacremente e senza pregiudizi a tale obiettivo».

Mentre parlavo, un altro piccolo “Munaciello” è apparso, con il volto rigato da una lacrima e ha preso per mano quello a lui più vicino. Mi sono riavuto dalla sorpresa anche questa volta e ho continuato:

«Vorrei che nessuno più nel mondo, giovani, anziani, donne e bambini potessero piangere e ritenersi sfortunati di essere nati in certi luoghi, di essere afflitti da guerre, carestie o pestilenze o soggiogati alle brutalità di governi autoritari e criminali che li privano di ogni forma di libertà e democrazia».

Ed è stato allora che anche i due piccoli gnomi «Munacielli» unitisi al primo, si sono tolti il Cappuccio e me lo hanno porto… dapprima sono rimasto stupito, interdetto. Poi, forse incoraggiato da questo gesto, come un fiume in piena ho ripreso:

«Vorrei che il mio Paese fosse migliore,

dove politici e amministratori fossero persone competenti e meritevoli di fiducia e che tornassero a fare politica per il benessere di tutti i cittadini e non di questo, di quello o di quella particolare fazione; che lo facessero con lo spirito di servizio proteso e volto al benessere della collettività; con dei servizi sanitari gratuiti e funzionanti degni del terzo millennio; con medici e infermieri responsabili e gentili in ospedali efficienti con attrezzature adeguate; con una fiscalità più giusta e distribuita, dove tutti pagano equamente e contribuiscono al miglioramento dei servizi, senza pregiudizi o favoritismi. Vorrei che la giustizia fosse più celere a raggiungere i colpevoli e più veloce ad assolvere gli innocenti; Un’istruzione più valida e più… ‘istruita’, che possa aiutare a introdurre nel modo migliore i giovani nel mondo del lavoro; i trasporti e la logistica più capillare e puntuale; le città più pulite, con giardini e aiuole ordinate, con gli abitanti più disponibili ad aiutare il prossimo, all’insegna di quella cordialità dei rapporti rispettosa degli altri e dell’ambiente in cui viviamo.
Vorrei…»

Ma a questo punto il primo “Munaciello” al quale avevo preso il cappello mi fermò e mi disse visibilmente commosso:

«Caro amico, faremo tutto ciò che nel nostro piccolo – e con la mano indicò se stesso e gli altri due gnomi – è possibile fare. Lo faremo. Tu da parte tua non perdere la speranza, la pazienza e la voglia di migliorare le cose e diffondere buoni propositi».

Mi allungò il braccio per invitarmi a restituire i loro preziosi copricapi. Glieli porsi e come per incanto, aprii gli occhi. Mi svegliai, con la sensazione di aver tenuto in mano i loro cappelli, con le dita che fino a poco prima avevano stretto qualcosa. «’O Munaciello» insieme agli altri due compagni che si erano aggiunti, forse per venirlo a cercare preoccupati del suo ritardo, naturalmente non c’era più.

Chissà che, considerato l’approssimarsi del Natale e avendo recuperato i loro copricapi, non abbiano già deciso di darsi da fare.