Franciscus
A memoria d’uomo mai nessun pontefice come lui ha saputo leggere il Vangelo nella contemporaneità, con le sue parole e il suo esempio di vita. Un’eredità importante aspetta il successore di Bergoglio, il papa del popolo.
Avevamo appena festeggiato la Risurrezione di Cristo e ci preparavamo alla consueta gita fuoriporta in campagna per il lunedì dell’Angelo, quando, radio e TV comunicavano al mondo intero che il successore di Pietro era ritornato alla casa del Padre.
Lo avevamo visto – pur nell’evidenza del suo star male – il giorno prima dare la benedizione Urbi et orbi pasquale, in San Pietro, affacciato alla finestra e poi percorrere il sagrato sulla papamobile.
In quelle ultime immagini il suo sorriso e tutta la sua straripante umanità erano velate e aggredite da quella sofferenza che meno di ventiquattro ore dopo lo avrebbe definitivamente sconfitto.
Aveva voluto, quasi a riprova e conferma del suo pontificato, essere vicino alla gente fino all’ultimo.
Era il Papa della sobrietà, della semplicità, dell’essere vicino e tra la gente.
“I fratelli cardinali sono venuti a prendermi quasi alla fine del mondo” le sue prime parole quando, appena eletto, evidenziò così la sua provenienza argentina. Fu un esordio che , al pari del nome scelto, Francesco, pur nell’unicità di essere stato eletto in seguito alle dimissioni del suo predecessore, papa Ratzinger, al secolo papa Benedetto Sedicesimo, ci conquistò per simpatia e per quella sua particolare attenzione per i più deboli, per i più bisognosi, intesi anche come coloro che, pur avendo peccato, e privati della libertà per reati più o meno gravi, necessitavano della vicinanza e della parola di Dio.
Il suo essere vicino alla gente, ci ha fatto conoscere di lui cose inedite e quasi impensabili per un Sommo Pontefice, come quella di avere una grande passione calcistica e di essere tifoso della sua squadra di Buenos Aires. Nel corso del suo viaggio apostolico che lo ha portato in giro per tutto il mondo, il primo dei quali a Lampedusa – approdo di rifugiati e disperati che fuggono dalla fame e dalla guerra – Francesco si recò anche, così come fecero Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau che volle onorare con assoluto silenzio lasciando, come un urlo poderoso, un messaggio di grande umanità e pace scrivendo:
“Signore abbi pietà del tuo popolo. Perdona per tanta crudeltà”.
Numerosi sono stati i viaggi di papa Francesco, a riprova del voler dare segnali di presenza e vicinanza della Chiesa Cattolica nel mondo; soprattutto in quelle località che per motivi politici, storici, economici, religiosi, avevano più bisogno di essere sostenute e confortate. Dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America, non escludendo Iraq, Emirati e tutti quei paesi non sempre certamente ospitali, fino alla lontana Nuova Guinea. Incontrando sempre tutte le autorità civili, militari e religiose di quegli stessi paesi, lasciando un indelebile ricordo di umanità e di aperture con essi e soprattutto fra la gente che sempre lo accolse con grande speranza e calore. Speranza e conforto che, con la sua presenza, veniva rigenerata e talvolta anche riesumata non solo per quel cammino di fede a cui Lui sempre si rivolgeva, ma anche quale rafforzativo e premio divino a cui solo i più deboli e bisognosi possono ambire nella grazia della Misericordia.
La presenza sul sagrato di San Pietro per l’ultimo saluto di quasi tutti i grandi della Terra, confermano la sua grande capacità oltre che di dialogo, anche di umile servo di Dio impegnato nel più alto Magistero di Solidarietà e di Integrazione, fondato sul principio che la diffusione del benessere, della libertà e dei diritti civili, sono condizioni essenziali per un’umanità di pace e di concordia.
A quegli assenti, ai più riottosi di quel sagrato, ha voluto – pur non essendo più di questa vita terrena – lanciare il più forte e alto grido ad aprire gli occhi sul mondo intero, in un unico interesse generale proteso alla concordia dell’umanità, necessaria e indifferibile in un’epoca dove la scienza non ha più traguardi.
A tutti i comuni presenti, giunti a migliaia da tutto il mondo per porgergli l’estremo saluto, è sembrato anche nelle parole dell’omelia, volerli abbracciare e salutare tutti, con la sua consueta semplicità confermata dal voler essere traslato fuori dalla basilica di San Pietro, nel santuario di Santa Maria Maggiore, vicino alla sua Madonna a cui era particolarmente devoto.
Il vuoto spirituale che lascia, come quello di Pontefice di una Chiesa che dovrà comunque affrontare l’incertezza di un futuro aspro e difficile, si è fatto immediatamente sentire.
La necessità, mai come in questa circostanza, che i cardinali trovino il suo più degno e appropriato successore è cosa importantissima, all’interno all’esterno della Chiesa stessa.
Mentre scrivo, ancor prima che si apra il conclave, i più audaci vaticanisti già hanno dato inizio al “toto nomine”. La storia ci insegna che solo il conclave e il suo “Extra omnes” ci darà con il “Gaudium magnum, habemus papam” il Pastore che guiderà la Chiesa nei prossimi anni. Come sempre è accaduto , anche in questa circostanza, ne sono convinto, sarà il migliore tra i migliori, per proseguire nel solco tracciato di Francesco e affrontare con il coraggio e la forza della fede l’incertezza di un futuro nebuloso e all’insegna di una sempre più emergente intolleranza e bellicosità tra i popoli.
La fumata bianca pietrina annuncerà al mondo la sua elezione e noi, con trepidazione e speranza non possiamo che attendere che ciò avvenga nella convinzione di un’equazione al pari di una certezza matematica; ovvero che ogni gregge ha bisogno del suo pastore così come tutta la comunità cattolica necessita della sua guida.