Ed in questo clima sarà presto Natale

Avete ancora voglia di addobbare l’albero? Mai come quest’anno il modo in cui vivremo le Feste sarà lo specchio di come affrontiamo la nostra vita… e anche dal modo in cui un genitore tiene per mano il figlio si può trarre un insegnamento per trascorrere un Natale migliore.

Camminavo nel viale principale, di ritorno dal centro storico della città. Davanti a me, a pochi passi, una mamma abbastanza giovane, teneva per mano un bimbo di quattro o cinque anni mentre parlava al telefonino. Doveva essere una telefonata di quelle simpatiche e scherzose, con un’amica o chissà chi, tanto da non curarsi del tono alto della conversazione oltreché del passo troppo spedito per un bambino così piccolo. 

Seppur dietro, notavo una certa eleganza della signora ed il volto rivolto  verso l’alto del piccolo che, ad un certo punto, chiese alla mamma del perché cadessero le foglie. Il Gran Viale era, infatti, cosparso di numerose foglie cadute dai platani e dai pioppi disposti ai lati. “Perché cadono le foglie?”, chiese nuovamente il ragazzino alla mamma, senza che questa lo degnasse nemmeno di uno sguardo. 

Seguii la scena ed il piccolo, sentendo forse anche l’approssimarsi dei miei passi, si voltò e mi guardò con sguardo attento e interrogante. Non potevo certamente intervenire per aiutarlo ma, allargando le braccia, credo di aver fatto con il volto una smorfia di comprensione e di dispiacere invitandolo, nello stesso tempo,  ad insistere  verso il genitore distratto. Fu allora che il piccolo, alzando un po’ la voce, ripropose il quesito alla mamma la quale, per tutta risposta, lo strattonò per il braccio facendogli capire  che non voleva essere, in quel momento così piacevole per lei, disturbata.

Rimasi assai male  per quel bambino che aveva posto una domanda tanto bella quanto intelligente. Che avrebbe meritato  tutta  la considerazione  possibile ed immaginabile. Rimasi ancor più male per quella mamma  che aveva  perso un’occasione di vicinanza  ed insegnamento per il proprio piccolo; certamente sarebbe rimasta scolpita e indelebile  nelle memoria  di entrambi. Chi non ricorda, infatti, quei primi insegnamenti, consigli, quelle spiegazioni  che, da bambini, i nostri genitori ci davano su temi e questioni  di ogni genere, molte delle quali non facilmente spiegabili ad un bambino ma, proprio per questo, ancora più originali ed interessanti per il modo in cui ci venivano date, e per lo sforzo che gli adulti dovevano compiere  nel cercare  esempi e commenti, analogie e differenze  che ci potessero aiutare a capire. 

Il telefono, quel telefonino di quella mamma ha impedito tutto ciò, ha privato entrambi di un momento naturale e meraviglioso che costituisce l’ossatura della formazione e del comportamento in quelli  che saranno gli adulti di domani.

Trovo francamente inconcepibile che ci si possa privare, anche se inconsciamente, di soddisfazioni e momenti speciali  come quelli  di rispondere  ad una domanda, e che domanda, del proprio figlio, perché distratti  da una telefonata, anche se divertente  e piacevole, fatta per la strada e per di più con la costrizione di parlare  con la mascherina sotto il mento.

Già, la mascherina, altro brutto “attrezzo” di cui  siamo stati costretti a dotarci ormai da diversi mesi per cercare di contrastare  il dilagare di questa pandemia. Quanta tristezza in questo periodo, e non solo perché cadono le  foglie  e  lasciamo senza risposte i nostri piccoli. Ogni giorno riceviamo notizie  che quel tal  conoscente, amico o parente, ha contratto questo virus  subdolo e malefico, che ha già fatto, nel nostro paese, oltre 55.000 morti. È il caso di dirlo, “Si sta come d’autunno sull’albero le foglie” in questa guerra contro un nemico quasi invisibile  che ha colpito il mondo intero. Abbiamo imparato il significato di una parola nuova, la pandemia appunto, che è cosa  assai più terribile  di epidemia, che  già ci sembrava  essere qualcosa di apocalittico o quasi. E non colpisce  e uccide solo  le persone, ma ha riflessi  e ripercussioni  fortissime  su tutto il sistema economico-produttivo delle aziende, delle imprese, dei grandi gruppi nazionali ed internazionali. Gli stati, il nostro in particolare, già sofferenti  e strangolati  per l’enorme debito pubblico, rischiano il default indebitandosi ancor di più per far fronte  a tutte le necessità per tenere in vita il sistema.

Ed in questo clima sarà presto Natale.

Quest’anno ho deciso di fare un albero  di Natale  tutto particolare: ho comprato  in ferramenta un rotolo di smagliante filo spinato ed un pacco di lucidi chiodi.

Con il primo avvolgerò il mio albero fino alla sommità, che sarà necessariamente un abete vivo, in vaso e non tagliato, i secondi li appenderò con l’ausilio di un filo di ferro su tutti i rami. Sulla punta metterò una collana di ispide spine come quelle  che cinsero la testa del Signore. Non credo che verrà un albero  proprio  tanto allegro, men che mai tanto bello.

Così come non può essere né bello né allegro il tempo  che stiamo vivendo. Quest’anno palline colorate, nastrini  lucenti e strenne  luminose rimarranno nel cassetto.

E perché no, sui rami, appenderò due o tre mascherine chirurgiche di cui, da un po’ di tempo a questa parte  non possiamo più fare a meno e sono diventate  l’accessorio più importante  del nostro vestire. “Hai preso il fazzoletto?” mi ricordava mia moglie prima di uscire di casa; “non dimenticare la mascherina” ora  mi ripete sistematicamente.

Voglio appendere  anche qualche pezzo di plastica arancione, come il colore dei giubbotti  salvagente  che ci sono  sui gommoni che  vengono dall’Africa sulle nostre coste. Non me ne frega niente se sia  giusto o no farli arrivare  e sbarcare. Mi basta sapere  che su di essi ci sono molte donne e bambini, terrorizzati  e incolpevoli  vittime  innocenti  di guerre  e carestie  da cui fuggono per forza di disperazione e di speranza.

Non ci saranno  pupazzetti  e figure di cioccolato appesi con il loro filo rosso. Non ci saranno luci colorate  ad intermittenza. Non illumineranno i nostri volti attoniti e pieni di angoscia.

Ci saranno invece  tre o quattro piccole  boccette di vetro  a testimonianza di quel vaccino anti Covid che stiamo aspettando da troppo tempo e che  sembra presto arriverà. Così come aspettiamo  il nostro  Gesù Bambino che, immancabilmente,  ogni anno viene a portare i suoi  doni ai più buoni  mentre in casa tutti dormono. Non ci saranno, appese all’albero monete di cioccolato avvolte nella tipica carta dorata. Chissà quanti, troppi quest’anno, vorrebbero poter raccogliere dall’albero qualche  risorsa economica per  tirare avanti, per dare un po’ di ossigeno alle loro attività.

Non solo gli ospedali, le terapie intensive sono vicine al collasso, anche la Caritas non ce la fa più a sostenere quanti, sempre più numerosi, vanno a chiedere qualcosa da mangiare per sé o per la propria famiglia.

Cosi è iniziata la prima settimana dell’Avvento, fra meno di venti giorni  è Natale, il meno sfarzoso, opulento che io possa ricordare ma, proprio per questo, il più vero e più sentito. Sfarzo, consumismo e ostentata falsa ricchezza sono note stonate  di una festa  che dovrebbe  invece  insegnarci a vivere  un vero Natale.

A parte questo, che oggi più che mai non può non essere un motivo di profonda riflessione, trovo la forza ed il coraggio di ribellarmi.

Un impeto di orgoglio mi dice che invece farò l’albero come tutti gli altri, anni per non  privarmi dei sorrisi dei miei nipotini che, alla vista delle lucette  accese ad intermittenti battono le manine.

Come posso io rubargli questa  gioia, questo momento  che ricorderanno per tutta la vita? Farò l’albero anche per me stesso, perché ho sempre incitato tutti a guardare al domani con fiducia e speranza. Anche quando gli orizzonti sono pieni di preoccupazione e di incertezza ci si deve impegnare maggiormente e preparare con fiducia.

Sarà un abete vero che, trascorse le feste, pianterò nel mio giardino,  a testimonianza di questo periodo che non dobbiamo e non possiamo dimenticare. La memoria dovrà aiutarci nel futuro e lui, il nostro alberello, sarà lì a ricordarcelo sempre per il resto dei nostri giorni. Sarà forse difficile stare tutti uniti, non potremo forse festeggiare il Natale tutti insieme. Lo faremo con le video-telefonate o con tutti gli altri accorgimenti tecnologici che, almeno in questa circostanza, saranno utili per unire le famiglie, i genitori ai figli, i nipotini ai nonni. Sorrideremo lo stesso, anche se tutti saremo nella nostra casa. Impareremo a godere questi momenti, a rimpiangere quelli passati, a desiderare quelli futuri.

Una cosa è certa, nessuno ci domanderà più “cosa fate a Natale?”, perché la risposta è scontata ed ovvia: tutto quello che non abbiamo saputo fare gli altri anni.

Foto: Ирина Безмен da Pixabay