Storie in volo di Teodoro Russo

Storie in volo

Alziamo ancora una volta i nostri occhi al cielo: lasciamo perdere questi ipnotici specchi neri che teniamo sempre in mano e guardiamo, con il giusto stupore, la misteriosa grazia del volo di un uccello!

Anche i Giorni della Merla se ne sono andati! 
È una storia assai carina , quella della merla, una volta bianca come la neve che, per ripararsi dal freddo inverno, s’infilò in un comignolo e ne uscì dopo tre giorni nera di fuliggine. Da allora, notoriamente racconta la leggenda, i merli hanno questo colore e, rifacendoci sempre ad essa, considerato il freddo intenso che abbiamo avuto, dovremmo avere quest’anno una buona primavera.

Da sempre, gli uccelli, hanno segnato con le loro storie fantastiche il nostro tempo, facendo spalancare la bocca d’incredulità e gli occhi di stupore ai nostri bimbi. Perché sono piccoli animali che suscitano interesse e studio da parte di tutti; per essi nutriamo una conclamata simpatia e ammirazione.

Chi non ricorda per esempio la storia del pettirosso?

In origine completamente grigio sul monte Golgota, il nostro piccolo eroe, volendo rimuovere la corona di spine sul capo di Gesù, pungendosi, colorò di rosso con il sangue il suo petto. Anche la religione, per i bimbi, entra in gioco per darci spiegazioni fantastiche sulle colorazioni delle loro piume. Per noi adulti, invece, ce li fa notare forse per la prima volta quando Mosè sull’Arca li vede in volo e capisce che la terra non è lontana. 

Il colombo con il ramoscello di ulivo nel becco è un’altra rappresentazione assai familiare per noi cristiani. Addirittura ne è stato fatto, a sua immagine, un dolce che consumiamo durante le festività Pasquali. 

Il poverello di Assisi, San Francesco, predicava agli uccelli che con tanto fervore cinguettavano per ascoltarlo.

I volatili dunque, tutti o quasi, hanno sempre suscitato nella mente umana grande interesse, per la loro capacità di librarsi in volo certamente, ma anche per i loro più diversi comportamenti e modi di vivere. Per il loro modo di battere le ali, piccole e veloci o pur anche lente e maestose per raggiungere grandi altezze e poter sostenere il loro peso. Per vivere in solitudine, in coppia o in grandi stormi, capaci di percorrere viaggi lunghissimi o per la loro stanzialità. Per il loro cinguettio, dolce e armonioso o per il loro gracchiare forte e cupo. Per il loro modo di fare il nido, sugli alberi o in terra, grande o piccolo che sia, di pagliuzze, foglie, rami o appeso sotto i cornicioni delle case e fatto di un impasto duro e resistente. 

Tutte cose che, pur differenziandosi di specie in specie, hanno certamente moltiplicato il nostro interesse e vicinanza a loro, in alcuni casi volendone emulare la loro forza, la loro energia in altri la loro dolcezza, la loro bellezza. 

Gli antichi romani furono tra i primi a fregiarsi del simbolo dell’aquila sui loro stemmi, sui loro stendardi. Aquila che, per la forza e la capacità di volare così in alto e comunque poter vedere grazie ad una vista eccezionale le cose più piccole, è sempre rimasta nella testa di molti. Tanto che, ha avuto persino nuove celebrazioni anche nel secolo scorso, nella simbologia di quelle teorie egemoni sviluppatesi in Italia e in Europa. Gli uccelli, quindi, hanno rappresentato da sempre per il genere umano un compagno di viaggio nel tempo silenzioso e costante, colorando con la loro presenza fantastica anche fatti storici come la stessa aquila che, librandosi in alto nel cielo, era presagio di sconfitta o di vittoria in battaglia.

Infiniti sono gli aneddoti e le storie creati dall’uomo sugli uccelli, tutti però volti a volerci insegnare qualcosa, ad indurci o meno a comportarci in un certo modo.

Chi non ricorda la storia del corvo che, con un pezzo di formaggio nella bocca, non ha saputo resistere alle adulazioni della volpe che, astutamente, pur di fargliela aprire e così far cadere il formaggio, gli diceva che avesse un bel canto?

E quella del brutto anatroccolo che, diverso e goffo rispetto a quelli che dovevano essere i suoi fratellini, diventava in realtà un bellissimo cigno che un bel giorno, con la più grande sorpresa, si librò maestoso in volo?

E poi quella della rondine che, svegliatasi tardi e rimasta sola proprio il giorno di migrare insieme all’intero stormo, in Europa, trova poi in altri animali, come il rinoceronte, la tartaruga, il serpente, il gufo, amici preziosi per farla ricongiungere ai suoi compagni di viaggio?

Poi la cicogna, da sempre rappresentata con attaccato al becco un morbido panno nel quale sorridente e gioioso un bimbetto viene portato a casa per la gioia di mamma e papà, oltreché ai fratellini e sorelline a cui è raccontata la storia.

E quella della gazza “ladra”, perché si dice sia attratta dagli oggetti che luccicano, che tende a nascondere; ha dato il nome, a quanto pare, all’opera sinfonica di G. Rossini.

O pur anche quella della capinera, che ha dato il titolo al romanzo di Giovanni Verga, nel quale la povera Maria viene costretta alla vita monacale non per sua vocazione ma per una crudele, quanto inamovibile, decisione familiare.

Queste sono solo alcune di quelle storie, di quei racconti con cui siamo cresciuti. Potremmo narrarne molte e molte altre, ma tutte nel chiaro intento di volerci insegnare qualcosa.

Queste e molte altre le fiabe, le favole di cui gli uccelli sono gli interpreti principali e che certamente non possiamo non conoscere. Ma di una in particolare, chi scrive, ha profonda simpatia.

È forse tra i più piccoli volatili che conosciamo, di qui il suo nome, lo scricciolo, che è da sempre sinonimo di minuscolo e delicato.

È un uccellino agile, ingegnoso, dinamico e simile ad una simpatica pallina con la coda che, in una antica fiaba etiope, pur di contribuire a spegnere un incendio nella foresta da cui tutti gli altri fuggono, rischia la vita portando infaticabilmente sul petto una gocciolina d’acqua per contribuire, con il suo piccolissimo apporto a spegnerlo. Dinamismo, altruismo, generosità le sue grandi qualità che dovrebbero essere prese ad esempio, in un mondo in cui sempre più spesso si gira lo sguardo da un’altra parte o si fa finta di non vedere.

Da Icaro a Leonardo, dai fratelli Wright a Francesco Baracca, fino ai nostri giorni di moderni supersonici, per arrivare addirittura nello spazio infinito dell’etere, l’uomo ha fatto del volo una sua importante prerogativa.

Siamo andati sempre più in alto – è vero – con la conquista dei cieli ma, a differenza degli uccelli, non abbiamo saputo in generale far volare quei valori che ci accorgiamo essere oggi sempre più imprescindibili per l’uomo e l’umanità tutta.

Così come gli alberi che cambiano le foglie e mantengono le radici, avremmo sì dovuto lavorare per la ricerca e la modernizzazione cambiando le nostre idee, ma mantenendo e conservando i nostri principi.

Foto: Aneta Rog da Pixabay