Perché?

Si dice che introno ai due-tre anni d’età – poco dopo che un bambino ha imparato ad articolare delle frasi più complesse – inizi la cosiddetta «età del perché», che solitamente mette a dura prova l’abilità dei genitori. Un età che inizia e non finisce più: semplicemente smettiamo di chiedere agli altri.

Quante le domande e gli spunti di riflessione che la vita ci induce a fare, a porci, e quanto è il desiderio inconscio in noi di trovare risposte ai più disparati quesiti che, necessariamente, ci vengono alla mente.

Quasi giornalmente, il desiderio o la necessità di conoscenze è così grande che diventa difficile restarne indifferenti. Ovviamente si può anche rinunciare a porsi domande, a chiedere e a chiederci come e cosa accade intorno a noi, volendo fuggire ad ogni coinvolgimento anche emotivo che la vita stessa ci pone.

In realtà, già da bambini il desiderio di ricevere risposte è così grande e insopprimibile che, per questo, tra le prime parole che impariamo, anche se in maniera disarticolata, c’è «perché?». È quel perché impossibile da scacciare; se lo allontaniamo, ritorna ancora più forte e pressante di prima. Perché non viene dall’esterno, non viene da fuori, ma nasce e cresce dentro di noi. Non possiamo soffocarlo o non considerarlo, è parte integrante e sostanziale del nostro vivere quotidiano.

E qui non possiamo fare a meno di ricordare quella storia del perché, scritta forse, se non ricordo male, dal Rodari, in cui emerge tutta la sua insistenza, la sua forza.

Il perché, racconta la storia, fuggito da un vocabolario della lingua italiana perché stufo di stare sempre allo stesso posto, inizia a girovagare per la città.

E comincia a chiedere a destra e a manca, perché questo? Perché quello? Tantissimi i perché che domanda, quasi come una mitraglietta, tanto che fu considerato, oltre che fastidioso e insistente, anche un pericolo per la collettività.

La Questura allora fece stampare dei manifesti con la sua fotografia che consegnò a tutta la polizia del mondo per catturarlo e arrestarlo, affinché non potesse andare più in giro a chiedere perché su ogni cosa e ogni questione.

Ma, racconta la nostra storia, com’è giusto che sia, cerca e ricerca nessuno è riuscito a trovarlo o arrestarlo. Si è nascosto così bene il nostro perché, un po’ qui ed un po’ lì, in ogni cosa. Fu così che in tutto ciò che vediamo o facciamo c’è un perché.

Questa, la spiegazione fantasiosa ma attinente all’esistenza di perché, che continuamente ci appare e sovviene alla mente, perché non siamo in grado di stanarlo e di portarlo allo scoperto, ed è proprio per questo che non smettiamo mai di cercarlo.

Ci chiediamo sempre perché, dalle cose piccole alle cose grandi, dalle questioni di carattere generale alle più specifiche. E tutto, appunto, inizia da bambini quando ci si comincia a chiedere insistentemente «perché?», per proseguire poi nell’adolescenza e nell’età adulta, quale termometro di una volontà di capire il motivo per cui succede qualcosa.

Nei piccoli i perché sono di base, il segno che si sta iniziando a collegare le cose con le cose. Nei più grandi, si tratta di perché per interrogare e interrogarsi continuamente. Negli adulti, è il caso di dire, i perché sono relativi alla vita e inesorabilmente terminano con la vita stessa.

Di perché ne è piena la storia, recente, passata, e lo sarà quella futura. Come il lievito è ingrediente essenziale per far crescere il pane, così i perché lo sono per l’umanità.

La ricerca continua, costante, incessante, nella consapevolezza che le risposte ai già tanti perché ne generano altri, e poi ancora e ancora, e non finiranno mai.

È insita nell’uomo la voglia di conoscere, scoprire, sapere; per soddisfarla non può che anteporre a tutto – o quasi tutto – ciò che fa o affronta la domanda «perché?».

Perché l’uomo ha cercato sempre di capire, non si è mai fermato ad accettare passivamente ciò che accadeva, ma ha voluto sempre cercare di scoprire il perché anche quando non era semplice, anzi, faticoso e forse impossibile. Non si è mai arreso a quella che poteva sembrare l’evidenza, perché in realtà non c’era nulla di così evidente. Quando non è riuscito a darsi risposte scientifiche e inoppugnabili è ricorso alla religione o pur anche alla filosofia. Ponendosi, religione e filosofia, come elementi contrapposti che hanno però un medesimo obiettivo, un identico problema che si propongono di affrontare: quello della vita.

La religione, cerca di affrontarlo, così come storicamente esiste, con la fede; la filosofia tenta di risolverlo con la ragione. Ma entrambe le ricerche, però, non esauriscono né rispondono a tutti i perché che comunque anch’esse generano.

Ed allora? Perché continuiamo a chiederci, a domandarci, a cercare delle spiegazioni? Perché?

Non chiedetelo a me. Già troppi sono i perché che mi pongo. L’ultimo forse è proprio il più difficile: perché continuo a scrivere e voi continuate a leggermi?

Foto: Ronald Plett da Pixabay