Ma che cosa accade?

Articolo pubblicato sulla rivista "NEXUS" n. 109 - Primavera 2019

Un giro del mondo per fotografare lo stato degli affari internazionali, che sembrano sfuggire ad ogni regia che li possa indirizzare verso un percorso virtuoso.
E poi c’è l’amata Italia, bloccata da poche decine di migranti mentre i problemi che l’accompagnano da decenni rimangono irrisolti.

Ma che cosa accade? Che cosa sta succedendo? Sembra che tutti stiano animosamente lavorando per la distruzione del pianeta Terra.

Distruzione intesa non solo per i danni ormai conclamati derivanti dall’inquinamento dell’aria, dei mari e del sottosuolo, ma anche e soprattutto per l’imbarbarimento dei rapporti umani, di coloro e tra coloro che invece dovrebbero operare per la ricerca del dialogo e del confronto per affrontare e superare i problemi di questo nostro terzo millennio. È ritornata particolarmente in auge la cultura della forza, del mostrare i muscoli, di erigere muri.

Un falso egoismo patriottico e un esasperato nazionalismo per la difesa dei propri confini di fronte a chi, nella maggioranza dei casi, non ha di che vivere o fugge da guerre e carestie sembra essere il tema, contagioso, di molti “grandi” della terra o aspiranti tali. In realtà, cercano solo di spostare l’attenzione su questioni più facilmente comprensibili da parte della gente comune, distraendola da questioni ben più importanti e sulle quali hanno fallito o non sono capaci o in grado di intervenire. Alcuni esempi.

Gli Usa, paese della modernizzazione e della democrazia, al quale spesso ci ispiriamo come esempio di libertà e progresso, sta dando il più deplorevole spettacolo di settarismo dell’accoglienza, nel volere a tutti i costi sostenere la costruzione di un muro al confine con il Messico. Costo previsto dell’opera 7 miliardi di dollari che, invece, potrebbero essere impiegati più intelligentemente, investendoli per creare, lì in Messico, posti di lavoro e nuova occupazione che fermerebbero certamente l’attuale esodo. Non solo. L’attuazione di una politica del ritorno dei dazi doganali, da parte degli Usa, nei confronti di quei paesi come la Cina e l’Europa per materie prime e prodotti finiti, ha destabilizzato e sta destabilizzando tutti i mercati internazionali più importanti. Generando così grande incertezza e preoccupazione per il futuro. Quel paese che eravamo soliti prendere a esempio per lungimiranza e aperture ideologiche, oggi altro non è che il più acceso sostenitore di una politica basata su “prima l’America e gli americani”. Ha prima minacciato e poi deciso di uscire dal Consiglio dei Diritti Umani Dell’Onu, guarda caso l’organizzazione nata nel 1945, alla fine del secondo conflitto mondiale, proprio per dirimere e favorire la soluzione di quelle controversie internazionali per la pace e il rispetto dei diritti umani. Il capo dell’amministrazione di questo paese ritiene infatti, sciaguratamente, che la politica del Consiglio dell’Onu non sia in linea con gli interessi americani per il commercio, il cambiamento climatico, lo sfruttamento del carbone e per la questione messicana dei diritti umani.

In Venezuela, paese dell’America Latina, la situazione è sempre più grave e delicata con la popolazione ridotta allo stremo da una politica “chavista” che ha trascinato il paese alla fame e alla disperazione. Gli ospedali non possono più curare, non hanno le più elementari medicine e i mezzi per intervenire. Persino disinfettanti, bende e garze non ci sono ormai da molto tempo. La gente non ha di che sfamarsi, un’inflazione stimata intorno al 7000%. Il salario mensile di un operaio basta a comprare un litro di latte, se lo trova, o due uova. Il presidente Maduro, si fa per dire, vista la sua dubbia e non democratica elezione, ha rifiutato ogni e qualsiasi aiuto umanitario in “risposta” al riconoscimento, da parte di molti paesi del mondo, del presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidò autoproclamatosi presidente a interim fino a nuove elezioni. Intanto, forse i più fortunati, circa un milione di persone, tra cui molti bambini, per non morire di fame e di stenti, hanno lasciato il Venezuela per la vicina Colombia, altri espatriano verso l’Europa, tanti arrivano in Italia ricongiungendosi a parenti che avevano lasciato moltissimi anni fa. La situazione è così degenerata e compromessa che si rischia la guerra civile, mentre Maduro, sostenuto da gran parte dei militari, non ne vuole sapere di lasciare la scena politica nella consapevolezza di poter perdere l’immunità per i tanti crimini commessi da lui e dal suo governo. Ha persino chiuso le frontiere con il Brasile e la Colombia per non consentire l’accesso degli aiuti umanitari americani, brasiliani e di ogni altra parte del mondo. Ed è così che la gente venezuelana continua a morire di fame e di malattie, anche le più banali.
Sempre nell’America Latina, l’Argentina e il Messico continuano il loro travaglio senza trovare la giusta via per uscire dal buco nero nel quale sono ormai caduti da molti anni. Una classe politica che non riesce a far ripartire il sistema economico con un’inflazione altissima e la corruzione a ogni livello. Ecco i mali di questi paesi che, conseguentemente, hanno un tasso di disoccupazione a livelli altissimi. Tutti ingredienti che favoriscono la criminalità e scoraggiano il turismo, incidendo ancor più negativamente sulle casse statali, già vuote e in dissesto.

L’altro continente, l’Africa, continua a soffrire come non mai. Tutti i paesi dell’area mediterranea che solo qualche anno fa proclamavano la “primavera araba” per essersi liberati dalla morsa delle dittature, “vivono” adesso tra lotte intestine e fratricide tra famiglie e tribù diverse, che destabilizzano l’intera regione. La guerriglia prevale ovunque per accaparrarsi il controllo di questo o quel territorio. La popolazione, allo stremo, muore in questo o quell’attentato.

In tutta la regione Medio Orientale, la Siria tristemente primeggia per disordini e guerre interne fra etnie diverse e contro il regime sanguinario di Assad. Non solo. La situazione con la vicina Turchia è sempre più tesa e infuocata da reciproche minacce quotidiane che hanno già innescato brevi ma sanguinosi conflitti a fuoco. La popolazione civile, anche in questo caso, ha versato un enorme contributo di sangue. Pure la Turchia, oggi, da una semi democrazia presidenziale è passata, a seguito di un finto colpo di stato, a una dittatura del presidente che ha abolito ogni forma di democrazia a partire dalla libertà di stampa e di opinione.

Più a sud dell’Equatore e nella maggioranza dei paesi africani si aggiungono alle carestie e alle guerre tribali la corruzione e l’illegalità diffusa tra le classi politiche dirigenti e le forze dell’ordine. Ne consegue che la piaga di questo malessere, diffuso e tangibile, contagia e si estende colpendo chiunque e dovunque. Costringendo molti a fuggire e a cercare nuove forme e possibilità di sopravvivenza verso i paesi europei a loro più vicini per distanza, lingua, cultura e tradizioni.

In Asia la situazione è altrettanto tumultuosa, con la bellicosa Corea del Nord che testa, giorno dopo giorno, missili nucleari a lunga gittata, adoperati come deterrente nei confronti degli stati limitrofi ma non solo. Alla guida un giovane, crudele ed esaltato dittatore, figlio d’arte che, pur di rimanere da solo al potere, non si è fatto scrupoli nello sterminare mezza famiglia tra fratelli e cugini. La vicina Cina ha oggi, anch’essa, non più un presidente eletto dal Comitato Centrale ogni sette anni ma un presidente, Xi Jinping, che è riuscito a fare approvare una legge secondo cui sarà presidente a vita. Non abbiamo mai creduto che la Cina potesse essere o diventare, per ragioni anche ideologiche, un grande esempio di democrazia, ma così facendo ha praticamente sancito la condizione di esser guidata da un uomo solo, ritornando a essere quello stato assolutista al quale credevamo non facesse più ritorno. Ma anche in questo, la Cina a sorpresa ha stupito il mondo intero. Oggi è il paese che, per la potenza economica, industriale, commerciale e militare che rappresenta, è certamente uno stato con interessi internazionali fortissimi e con la necessità di espandersi sempre più. Lo sta facendo, forse senza troppo rispetto nei confronti di tutti quei paesi oggi in difficoltà e bisognosi di aiuti, generando dissenso e insofferenze negli altri stati, soprattutto nelle grandi potenze, che non vedono di buon occhio la sua crescita esponenziale e la sua politica espansionistica sui mercati di tutto il mondo.

L’Europa e la Russia vivono momenti particolarmente difficili e delicati per tutta una serie di equilibri interni ed esterni ancora non ben definiti. Putin deve cercare di arginare un malcontento sempre più diffuso, figlio di una forte recessione e congiuntura negativa che ha fatto perdere alla sua moneta, il rublo, il 50% del valore e del potere d’acquisto nel giro di pochi mesi.

L’Unione Europea soffre e frena la sua azione, minata da forti movimenti nazionalisti che vedono nelle prossime elezioni europee di primavera la possibilità di riscatto e di rivalsa.

La Gran Bretagna, con la Brexit, uscirà, forse, dall’Ue, malconcia, divisa e ammaccata, con un forte dissenso interno oltre a tutti i problemi autonomistici con Irlanda e Scozia. Gli altri paesi, i più importanti come la Germania, la Francia, la Spagna e l’Italia, vivono momenti di crisi non facili. In Germania, con la congiuntura e con il Pil più basso degli ultimi anni, nonostante sia ancora il migliore d’Europa, tramonta dopo dieci anni la Merkel e la sua politica.

La Francia, con l’elezione di Macron, sembrava essere votata a diventare un paese guida, con le sue proposte di riforme economiche e di tutto o quasi l’apparato politico democratico colpito da numerosi scandali anche presidenziali. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, le poche e sfortunate riforme non hanno generato nulla se non un grave malcontento che da molte settimane, con i gilet gialli, tengono in ostaggio il paese, generando disordini con numerosi episodi di vera e propria guerriglia urbana contro le forze dell’ardine.

Anche la Spagna, che sembrava potesse uscire dalla crisi grazie ai suoi positivi segnali di ripresa economica, ritornerà presto al voto. Due elezioni in un anno sono troppe per qualsiasi Stato, la confusione politica ha annullato ogni segnale positivo facendo ricadere il paese con il suo Pil in un pericoloso profondo rosso.

Ma arriviamo a noi, a che cosa accade e a che cosa sta accadendo al nostro paese. Viviamo certamente una stagione non felice, anzi, diciamocelo pure chiaramente, nefasta. A dispetto di quello che ha annunciato il ministro del Lavoro – “sarà boom economico” – viviamo un periodo di profonda crisi in ogni settore. I continui litigi e alterchi con l’Unione Europea hanno fatto salire lo spread, dalle elezioni a oggi, di almeno cento punti. Ma nonostante gli scenari negativi e tutti i richiami anche documentali rivolti da una pletora di organismi nazionali e internazionali come la Banca d’Italia, la Commissione Europea e soprattutto da Mario Draghi – italiano e presidente della Banca Centrale Europea – che indicano il nostro paese in grande difficoltà e in recessione, per i nostri governanti va tutto bene. Sembra che, a detta di questi ultimi, grazie al reddito di cittadinanza, in attuazione di una pur giusta politica assistenzialista per chi è indigente e in difficoltà, l’Italia andrà, nel prossimo semestre, a gonfie vele. Intanto anche la Tav è bloccata, i consumi delle famiglie italiane continuano a calare, la produzione industriale in caduta libera. Ma ci raccontano che va tutto bene!

Tutti i problemi italiani sono diventati i 47 disgraziati fermati al largo delle coste italiane sulla Sea Watch. Per giorni e giorni non si è parlato d’altro.
Gino Strada, presidente di Emergency, ha detto proprio questo, ossia “Siamo governati per metà da fascisti e per metà da coglioni”. Viviamo in un paese dove la classe politica ha accettato di commettere un crimine lasciando delle persone in mare. È certamente vero e sono cose che fanno a pugni con la civiltà. Come dice il presidente di Emergency “Siamo arrivati al punto che anche la vita umana da salvare viene messa in discussione”. Nel nostro paese, la politica ha raggiunto forse il più basso livello mai raggiunto prima.

Tra i politici e dai politici, siano essi di maggioranza o di opposizione, solo illazioni, calunnie e diffamazioni su tutti i social network. Essi, infatti, sono più presenti sui social che intenti a occuparsi delle cose del paese, non importa se per risolvere le quali sono stati nominati ministri e sottosegretari. Conta purtroppo, per loro, più il consenso elettorale che la politica a medio e lungo termine. Ed è così che quella che una volta era l’Arte della Politica, ossia un impegno nobile proprio perché chiamata a dare risposte concrete ai problemi della cittadinanza, è diventata oggi oggetto di disgusto e disappunto, di disaffezione e di non partecipazione. La non partecipazione alla vita attiva del paese è dunque destinata ad aumentare sempre di più, così come diminuirà la partecipazione al voto.

Ma che cosa importa, va tutto bene, sono tutte fesserie messe in giro per screditare l’attività di governo e di chi ci governa! Questo è quello che ci viene detto e che i social divulgano. Sta di fatto che il nostro grande Paese diventa sempre più piccolo per quello che politici e amministratori di ogni estrazione, sempre più incapaci, propongono, distruggono o non fanno. Dove andremo a finire?

Foto: Aaron Thomas