Distinto, impeccabile e professionale

Ho colto dalla cronaca della mia fantasia un episodio che, per la sua stravaganza, mi è sembrato “teatrale” e divertente… mi ha fatto pensare – come ha osservato un amico – a una commedia di Pirandello o, con chiaroscuri diversi, al più contemporaneo Camilleri. Buona lettura e Buon Anno Nuovo!

Il Dr. Gustavo Muscia, instancabile lavoratore ed esperto in ristrutturazioni aziendali, era stato uno che la vita l’aveva vissuta tutta senza certamente risparmiarsi ma, come si suol dire, anche senza farsi mancare proprio nulla.
Ora che se ne era andato a miglior vita, quasi improvvisamente e senza che nessuno sapesse della sua crudele malattia, lasciò tutti assai turbati. Solo i suoi familiari, sua moglie Antonietta e i suoi due figli Anna e Antonio sapevano, ma solo da qualche giorno, che presto la sua anima sarebbe volata al cielo.

Il nostro Dr. Muscia, legato da 30 anni di matrimonio alla sua Antonietta, aveva voluto tenere per sé quello che già sapeva da qualche tempo. Aveva deciso così di preservare Lei e i suoi figli da quel periodo di sofferenza ed angoscia che, in tali circostanze, pervade i familiari più vicini, rendendo ancor più difficile e tormentato quel non meglio precisato scorrere del tempo che lo separava dalla sua dipartita.

Fu così che continuò a lavorare e a darsi da fare fino quasi all’ultimo giorno, complice anche il fatto che, con l’ausilio di potenti antidolorifici, riusciva a gestire una situazione di grande malessere e sofferenza. Di lui la gente, della non piccola e importante città, aveva sempre avuto una particolare considerazione, non fosse altro che per la sua laboriosità che lo portava spesso ad avere rapporti commerciali e di consulenza anche con altre aziende sparse sull’intero territorio nazionale.

Distinto, impeccabile nel vestire e dotato di una dialettica fuori dal comune, il Dr. Gustavo Muscia, insomma, risultava essere agli occhi dei più una figura altamente qualificata e professionale. Unico piccolo neo era che alcuni, non tantissimi per la verità, ritenevano che mantenesse una relazione sentimentale con una giovane signora di un paese vicino, che si diceva essere molto bella e legata a lui da molti anni. Altri ancora, ma sempre non molti, ritenevano che grazie al suo lavoro che alcune volte lo costringeva a stare fuori città per alcuni giorni, avesse anche un’altra relazione con un’altra donna, una seconda, che incontrava non spesso ma che comunque costituiva una sorta di appuntamento fisso sebbene con scadenze prolungate. Altri, forse i più grandi detrattori, raccontavano che ce ne fosse addirittura una terza, in un’altra regione, con la quale avesse avuto un figlio e che mantenesse come fosse una principessa. Nessuno potrà mai dire se e quanto ci fosse di vero in tali storie ma, per fortuna del nostro Dr. Muscia, nulla mai giunse alle orecchie dei suoi familiari che, per il suo comportamento in famiglia sempre probo, non avevano mai avuto ragione di sospettare qualcosa.

L’estremo saluto era stato fissato nella Basilica al centro della città per quel venerdì di giugno alle ore 15, giusto in tempo per tumulare poi la salma nella cappella di famiglia, prima che il cimitero chiudesse. Il feretro arrivò puntuale, preceduto da familiari, parenti, amici e conoscenti che riempirono oltre metà dei banchi della chiesa, lasciando vuoti solo le ultime sei o sette file in fondo alla navata. Si sistemarono i tanti fiori e, sulla bara, un ricchissimo cuscino di rose scarlatte con la scritta “La Tua adorata Antonietta”.

Tutto sembrava essere pronto e il celebrante, un monsignore della diocesi, si accingeva ad iniziare quando la porta in fondo della Basilica con un lungo cigolio si aprì ed entrò una donna elegantissima, con il capo ed il volto coperto da un velo di raso nero come il vestito. Il rumore della porta, nel silenzio del luogo sacro, aveva fatto girare tutti o quasi i presenti che si domandavano chi fosse quella donna che, intanto, si era accomodata nell’ultimo banco in fondo. Un mormorio aleggiava tra le navate quando la pesante porta con il suo cigolio si aprì di nuovo e, questa volta, due donne con portamento quasi regale e sempre elegantissime e di nero vestite, entrarono e si sedettero distante tra loro ed occuparono sempre i banchi più’ lontani dall’altare. Gli sguardi si infittirono ed il mormorio crebbe ancor di più; proprio mentre il Monsignore si alzava per iniziare la celebrazione ecco che la porta cigolò di nuovo ed entrarono, una alla volta, altre cinque donne eleganti e sommesse che, come le precedenti, si sedettero nei banchi vuoti. La porta si aprì e si richiuse numerose volte ancora ed il cigolio quasi non si sentiva più mentre il numero delle signore in nero – elegantissime e bellissime – aumentava a dismisura. Quaranta, forse cinquanta, tanto che presto furono pieni tutti i banchi vuoti.

I familiari, i parenti, gli amici del de cuius non sapevano più cosa pensare e brusii e mormorii si trasformarono in sconcerto e sgomento. La povera Antonietta e i suoi figli, Anna ed Antonio, non potevano far altro che piangere e rammaricarsi ancor di più per tutto quello che stava accadendo. Quando la porta finalmente e definitivamente cessò di aprirsi, il Monsignore iniziò a celebrare e dopo l’omelia, per la verità un po’ generica, veloce e superficiale per via di quanto stava accadendo, passò a concludere con la Comunione, la Benedizione e la Purificazione del feretro con l’incenso. Iniziò così il commiato dei presenti che passarono davanti alla bara del povero Dr. Muscia per l’ultimo saluto.

Lo stesso fecero, una dopo l’altra, tutta quella schiera di donne che davanti alla bara si asciugavano gli occhi e vi adagiavano sopra un fiore. Naturalmente nessuna di loro, così come gli altri partecipanti alla funzione, accompagnò il feretro al cimitero per la tumulazione a cui parteciparono unicamente i familiari più intimi, mentre le misteriose signore compostamente e mestamente si allontanarono in diverse direzioni. Vista l’ora ma anche per quanto accaduto, tutto si svolse con tale rapidità che, come si può immaginare, i cuori di Antonietta, di Anna e Antonio si spezzarono definitivamente, dato che mai avrebbero pensato che il povero Gustavo altro non era stato che un porco seriale che per anni si era preso gioco di tutto e di tutti. La vergogna e il disonore li costrinse a casa per molti giorni e la povera Antonietta e la figlia Anna decisero di non uscire più, per non subire l’onta e lo strazio di incontrare tutti i concittadini che, intanto, con le loro chiacchiere, avevano fatto diventare questa vicenda di per sé già schifosa, ancora più insulsa e raccapricciante.

Solo Antonio, il figlio di quello sporcaccione del fu Gustavo, di tanto in tanto passava nell’ufficio che era stato del padre per il disbrigo di qualche affare corrente, come il pagamento delle utenze e di qualche vecchio creditore. Fu così che, nell’ aprire la corrispondenza del giorno, scoprì una fattura del Teatro Stabile di Napoli che rivendicava il pagamento a saldo del 50% delle prestazioni già effettuate. La somma era cospicua e questo spinse Antonio a telefonare per chiedere spiegazioni sulla fattura e sulle prestazioni. Fu così che scoprì che il padre, distinto, impeccabile, professionale, aveva deciso di terminare la sua vita dimostrando – a sé stesso e alle malelingue – che avrebbe potuto essere anche un gran burlone, se solo lo avesse voluto. Aveva infatti concordato tutto con il responsabile del Teatro Stabile di Napoli che avrebbe mandato, il giorno del suo funerale, cinquanta avvenenti comparse, rassicurando lo stesso per il pagamento del saldo dicendogli che, al suo posto qualcuno avrebbe pagato.

E così fu e la fattura di tale prestazione per molti mesi rimase affissa, perché tutti la vedessero, fuori l’ufficio di quello che era il Dr. Gustavo Muscia, infaticabile ed impeccabile professionista che volle essere ricordato, non per questo, ma per essere stato, pur già nell’aldilà un gran burlone.

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