Mala tempora currunt

Il naufragio di Cutro ha colpito il sentimento popolare sia per l’alto numero di vittime, sia per la tenera età di molti degli affogati, sia per il beffardo destino che ha fatto naufragare l’imbarcazione già in vista della riva. Le riflessioni lasciano ormai il tempo che trovano, è tempo di agire per evitare nuove ecatombi.

Non è la prima volta che accade e purtroppo abbiamo ragione di credere che, con questo andazzo, non sarà nemmeno l’ultima.

Sembra quasi che il discutere, parlare – qualcuno dice “ragionare” in tutte le sedi, in tutte le lingue e perché no, in tutte le salse ed occasioni possibili ed immaginabili – possa autoassolverci, giustificare in qualche modo quanto accade, edulcorando quei sensi di colpa che, invece, dovrebbero farci riflettere e indurci ad agire.

Gli uomini, le donne, i bambini, i neonati i cui corpi senza vita sono stati recuperati sulla spiaggia di Cutro, sono l’ennesimo epilogo di una sciagura oltre che annunciata – ma su questo ci torneremo dopo – prevedibile e, forse, almeno in questo caso, evitabile.

Ad oggi 70 le vittime; questo il tragico bilancio a cui dovranno aggiungersi i molti dispersi di cui il mare non ha ancora restituito e forse non restituirà più i corpi. Tutti o quasi disperati che fuggivano, scusate il bisticcio di parole, dalla disperazione della guerra e, imbarcati su un vecchio barcone partito da Smirne in Turchia, andati alla deriva per le condizioni meteo ed il vento forte che sferzava sul mare di Calabria.

A poche centinaia di metri dalla riva l’imbarcazione si è letteralmente spezzata, frantumata, lasciando quei poveri disgraziati, tra cui bambini, neonati, donne, nel buio della notte alla mercè di un mare gelido e tempestoso.

Quello che doveva essere il viaggio della speranza è diventato il viaggio della disperazione e della morte!

A rifletterci bene, infatti, quale speranza può avere chi parte con un mare tumultuoso, con temperature gelide, con certe imbarcazioni? Ed è così che la cittadina di Cutro legherà il suo nome a questa strage di migranti, un’altra. Vedere quei corpi esanimi restituiti dal mare e riversati sul bagnasciuga è stato certamente uno spettacolo non facile da dimenticare per i soccorritori. Il solo vedere in TV tra i rottami dell’imbarcazione pigiamini, scarpe, biberon, ci ha fatto cadere nello sconforto, gelato il sangue, commosso. Poi, l’incredulità di queste scene raccapriccianti è diventata amarezza, rabbia verso tutti coloro che avrebbero potuto e dovuto fare qualcosa ma non l’hanno fatto. Anche contro il fato e il destino! Ancora qualche centinaio di metri e quel guscio d’uovo, di noce, che qualcuno ha scambiato o peggio ancora spacciato per imbarcazione, sarebbe approdato, benché alla deriva, sulla spiaggia. Ma in certe situazioni contano solo i fatti; lo scafo già marcio non ha retto, scaricando in balia del mare il suo carico di esseri umani.

Chi sapeva nuotare fino a riva e ne aveva la forza ce l’ha fatta. Per gli altri nessuno scampo.

Fuggivano dalla miseria, dalla guerra, dalle carestie. Avevano faticato chissà quanto e si erano privati dalle poche cose che avevano per pagarsi la traversata verso una vita migliore, per sé e per i propri figli. Desiderio legittimo ed irrinunciabile in questa vita terrena già disseminata d’insidie, ancor più per chi proviene da paesi dilaniati da mille problemi.

Hanno invece trovato l’inferno di una traversata impossibile di più giorni con epilogo la morte. Chissà se qualcuno di loro sentiva o sapeva che, salendo a bordo, stava pagando un biglietto di sola andata verso un Paese che non li vuole; oppure stava pensando già ad altre mete europee, magari per ricongiungersi a familiari che prima di loro erano stati più fortunati.

Il peschereccio, o meglio la “carretta del mare”, strabocchevole del suo carico di miserabili, era già stato avvistato la sera del giorno prima da un velivolo di pattuglia che ne aveva segnalato la presenza a circa 40 miglia dalla costa. Ma chissà perché, chissà per come, complice – sostiene qualcuno – il fatto che era anche sabato, niente o nessuno ha fatto quasi nulla di veramente serio per trarre in salvo quella povera gente. Oggi un’inchiesta è in corso. 

Qualche scafista, tassista di morte, è già stato fermato. Per il resto probabilmente assisteremo al solito scarica barile di colpe e responsabilità, e la verità su quanto è realmente accaduto non la sapremo mai. I Signori della Politica, rapidissimi, si sono già espressi contro o a difesa di quel tal ministro o responsabile di dipartimento. Come sempre!

Finirà tutto nel limbo delle tragedie di cui non si sono mai trovati i responsabili, vuoi perché impossibili da individuare, vuoi perché essere tutti colpevoli equivale a nessun colpevole.

Sta di fatto che una società civile, plurima, cristiana ed accogliente come la nostra, questi fatti non dovrebbe mai né viverli né subirli. E poca cosa è stato l’appello all’Angelus del Santo Padre, derubricato ormai ad un qualcosa di ordinaria amministrazione.

Vedere il nostro Presidente stare in piedi per circa mezz’ora attonito davanti alla sfilza di bare, di cui molte bianche, nel palazzetto dello sport della cittadina di Cutro, è stata un’immagine quasi d’altri tempi. Ma nessuno può pensare che espressioni di vicinanza e cordoglio, anche se così sincere e forti come quelle della più alta carica dello Stato, possano più bastare a far cessare il dispiacere e la rabbia per quanto è realmente accaduto. Tutti siamo consapevoli della portata e della difficoltà del problema, ma tutti conosciamo quanto tempo è che se ne parla, se ne discute, e quanta indifferenza trova in molte sedi internazionali. I politici tutti, italiani, europei ed euroasiatici, dovrebbero affrontare il problema come se tra le bare di oggi ci fosse qualche loro congiunto o familiare. Perché è ora di fatti, veri, autorevoli, concreti. 

Dal canto nostro non possiamo far altro che stringerci intorno a questi disperati. Dove è possibile parlargli, sostenerli, e stargli vicino.

Pregare con loro e per loro affinché altri, alla loro stregua, pur se perseguitati da ogni sciagura, si convincano di chiedere aiuto per riceverlo lì, nei paesi che li hanno visti nascere. Perché, ne sono convinto e non credo di essere il solo, per fermare questa fuga, questo esodo biblico, l’unico vero rimedio sarà quello di concorrere a creare lì, in quegli stessi luoghi da cui fuggono, le situazioni di tranquillità e benessere che cercano fuori.

Foto: Didier da Pixabay