Paride

Nella mitologia fu Paride, un giovane pastore ignaro del suo sangue reale, a giudicare chi fosse la più bella tra Atene, Era e Afrodite; e se un altro Paride ci passasse accanto ogni giorno, anche lui giudice inappellabile, ma non tanto della nostra bellezza quanto della nostra anima?

È una storia che non ho mai voluto raccontare. Che ho sempre tenuto per me, non per non volerla condividere ma perché non ritenevo opportuno raccontarla e diffonderla. 

Temevo forse che l’indifferenza e la superficialità di molti non potessero comprenderla, ovvero che la fretta e la voglia di sbarazzarci troppo velocemente di quelle preziose riflessioni a cui invece eravamo un tempo abituati potessero svilirla di quel significato e di quel forte impatto emotivo che, invece, aveva generato in me.

Ora, che sono trascorsi così tanti lustri e che ho, grazie anche al buon Dio, la possibilità di riordinare e ricordare i fatti più strani e singolari che mi sono capitati e che più mi sono rimasti impressi, ho deciso di raccontarla. Addirittura di scriverla, per farne partecipi tutti coloro che, come me, si trovano a rimembrare su quegli stralci di vita vissuta che, magari non immediatamente ma nel tempo, hanno contraddistinto la loro vita, segnando e condizionando il loro operato se non addirittura il loro modo di essere.

Ero, allora, un giovane amministratore della mia città, dove vivevo e per la quale dedicavo molto tempo, grazie anche al sostegno di tutta la mia famiglia che supportava con soddisfazione il mio impegno politico per la cosa pubblica.
La giovane età, la voglia di cambiare e di vedere le cose da vicino mi portavano spesso fuori dalla stanza dei bottoni, per incontrare la gente, per rendermi meglio conto delle situazioni e del reale stato dei luoghi, di che cosa fosse necessario fare e come fare per cercare di risolvere o quanto meno affrontare quei problemi che, ahimè, scoprii essere numerosi e diffusi oltreché di non facile e immediata soluzione.

E lo facevo senza “fanfare”, senza annunci o preavvisi, proprio per non trovare alterati o contaminati quei posti o situazioni di cui volevo avere invece esatta cognizione.

Mi recai così, un giorno, di buon mattino, all’inizio dell’estate, in quella piazza alla periferia della città di una frazione vicina per rendermi conto di come, cosa e perché avesse suscitato un così ampio dibattito nel Consiglio Comunale dei giorni precedenti.
La trovai né più né meno di come la conoscessi e di come ricordavo che fosse, ma il dovere mi impose di soffermarmi sul posto per capire meglio e dare così risposte concrete alle osservazioni dei colleghi amministratori.

Decisi così di entrare nel bar principale e prendere un caffè dove, ovviamente, qualcuno mi riconobbe e mi salutò. Qualcun altro che conoscevo, si soffermò un po’ con me, raccontai in poche battute il perché fossi lì e a quell’ora. Questi forse capì che volevo passare inosservato, così come fecero altri che mi avevano evidentemente riconosciuto, e tutti mi salutarono frettolosamente.

Poco distante dal bar, la piazza si apriva ad alcuni banchi di frutta, e prima di arrivare ad essi e in posizione strategica si era sistemato su un muretto un giovane di colore a chiedere la beneficenza.
Tutti coloro che uscivano dal bar e si recavano in piazza erano pressoché costretti a passargli davanti. Quello era anche un ottimo punto di osservazione per guardare come si svolgesse tutta l’attività nella piazza e nella zona circostante.

“Posso fermarmi qui un po’ vicino a te?”

Chiesi al ragazzo che, con un sorriso bianchissimo mi rispose con fare scherzoso: “Certo, fanno mille lire”. Sorrisi alla battuta, pronta e gioviale. Naturale mi venne di chiedergli il nome. “Paride”, mi rispose. “Ammazza che nome storico importante che hai” gli dissi. “No amico, Parid, senza la e finale”.
Sorridemmo insieme e, forse rincuorato dalla mia semplicità, iniziò a raccontarmi che veniva da un paese vicino e che le mattine che non era impegnato in qualche lavoro precario prendeva il bus, senza pagare il biglietto, e si metteva lì, con il cappello in mano a chiedere un sostegno.
“Sai qui, tutti quelli che vanno alle piscine ormai mi conoscono. Così però non si può più vivere, sono venuto in Italia per non morire di fame e di angherie nel mio Paese, anche se purtroppo qui per me non è cambiato molto. Speriamo bene”

Il suo buon italiano e il conoscere Paride mi fecero capire che era un ragazzo sveglio, che certamente aveva frequentato o frequentava qualche corso di studi. Intanto, osservavo e riflettevo sulle persone che, passandogli davanti, avevano tutte, più o meno, un comportamento ‘strano’, diverso, difficile da immaginare.

“Guarda”, mi fece notare Parid, “questo mi ha appena lasciato 5 lire. Non sono niente, ma almeno si è scomodato”.

Parid salutava tutti quelli che passavano, ed erano molti, i più neanche rispondevano, facevano finta di non vederlo per non incontrare quella mano tesa che chiedeva.
Era ed è stata l’unica volta della mia vita in cui mi sono trovato vicino a una persona che chiedeva l’elemosina e che osservavo cosa accadesse.
In meno di un quarto d’ora avevo capito cos’è l’umanità che ci circonda e di cui non potevo immaginarne la vera esistenza.
Avevo imparato a commuovermi per la vecchietta che fruga nel borsellino per recuperare qualche spicciolo.
Avevo imparato che i veri ricchi sono coloro che aprono il cuore e che i veri ciechi sono coloro che volgono lo sguardo da un’altra parte.
Il signore che era passato con 3 o 4 giornali sotto il braccio non aveva degnato nemmeno di un’occhiata il povero Parid. Sarebbe andato a casa a leggerli per comprendere i fatti di questo mondo. Ma si era perso, proprio lui e quella mattina, che cosa il mondo soffrisse di più e di che cosa non potesse non vedere o non accorgersi.
“Poveretto”, pensai tra me e me: “distratto dalla fretta di leggere le grandi notizie si è perso la notizia, la vera notizia del giorno.”

Cominciai così a riflettere su che cosa fosse realmente la povertà, la generosità, l’indifferenza, l’egoismo…

L’uomo del banco della frutta poco distante si avvicinò e porse a Paride una pesca e una banana e poi mi guardò, allargando le braccia come per dire: “Questo è quello che posso fare”.
Gli sorrisi, avrei voluto abbracciarlo per quel gesto di solidarietà tanto piccolo ma infinitamente grande nei confronti di chi, forse come lui, non se la passava troppo bene.
Ricordo ancora che, in seguito, verso sera, andavo appositamente a comprare la frutta e la verdura da lui, al suo banco, perché avevo la sensazione che fosse molto più dolce e saporita.

Tornai ad osservare quel luogo, il marciapiede da sistemare, le strisce pedonali cancellate, il lampione stradale quasi divelto per un incidente, le panchine imbrattate e sporche, le aiuole non curate.
I pensieri, però, facevano fatica a tornare a quel Consiglio Comunale che mi aveva spinto in quel luogo per verificare quale fosse realmente lo stato delle cose.

Salutai Parid, gli porsi la mano come normalmente faccio con chiunque. Questo mio gesto forse per un attimo lo imbarazzò, la sorpresa di un gesto così poco usato nei suoi confronti fu contraccambiata da quel sorriso bianchissimo e dagli occhi spalancati da cerbiatto.
Rientrai nel bar e al giovane figlio di un mio elettore che stagionalmente lavorava lì consegnai mille lire dicendogli di porle nel cappello di Parid, non subito ma dopo un po’ e con un’unica preghiera, quella di non dirgli mai il nome di chi glieli avesse date.
Aveva ragione Parid, quel posto e quella lezione valevano ben le mille lire!

Foto: Frantisek Krejci da Pixabay