Camino da Porto a Santiago de Compostela

Articolo pubblicato sulla rivista "NEXUS" n. 107 - Autunno 2018

Per la seconda volta affronto il cammino che porta alla città galega, questa volta partendo dal Portogallo. Storia, sacralità, fede, speranza… queste le parole che riassumono un viaggio da cui si torna con una rinnovata fiducia.

La nostra meta, Santiago de Compostela, dove nella grandiosa e dorata cattedrale riposano le reliquie di san Giacomo.

Da oltre dodici secoli, pellegrini di ogni parte d’Europa e del mondo si mettono in viaggio verso la Galizia e, percorrendo selciati delle antiche vie, ponti romani e sentieri fra campi e lussureggiante vegetazione, raggiungono non solo a piedi ma anche in bicicletta, il Campus Stellae, ossia il Campo della stella da cui deriva Compostela. Il luogo divino indicato all’eremita Palayo da una pioggia di stelle che cadevano sopra un colle e che gli indicavano, in un sogno premonitore, che quello era il luogo della sepoltura di san Giacomo. Di qui, il nome Santiago de Compostela.

Diversi i cammini, quattro i più famosi, quello francese, quello dal nord, le vie della Plata e quello portoghese. Quattro vie antiche ma rinate e attrezzate per i moderni peregrinos che ogni anno, in un numero sempre maggiore, stanno scoprendo le meraviglie, il silenzio, la commozione, la fatica e le suggestioni dei lunghi viaggi a piedi. Ed è quello che accade appunto a chi, come me, non pago di aver fatto lo scorso anno il cammino francese, ha voluto quest’anno tornare, percorrendo il cammino portoghese. Partendo da Porto, con le sue architetture antiche e moderne, la bellissima costa, per incontrare poi Ponte De Lima, Valença e, una volta in Spagna, Tui, Pontevedre, Padron. Ma quale forza interiore ha spinto mia moglie e me a ripetere un’esperienza già vissuta come quella dello scorso anno? Forse avevamo dimenticato o non visto qualcosa di particolarmente interessante?

Non c’è una ragione in particolare e probabilmente non esistono risposte precise sulle motivazioni che ci hanno indotto a tornare a Santiago. L’esperienza forte e ricca di significato già avuta, pensavamo fosse irripetibile e non duplicabile. Siamo stati completamente smentiti da questa seconda esperienza. Un percorso diverso però, molto diverso quello che abbiamo scelto questa volta, ossia il cammino portoghese.

Di esso avevamo letto qualcosa, solo alcune e sommarie informazioni che, per altro, mi avevano anche un po’ preoccupato, come quelle che riguardavano la scarsa segnaletica. La tecnica era la stessa, si partiva alla maniera dei pellegrini, con lo zaino sulle spalle per arrivare, di volta in volta, dopo otto o dieci ore di cammino, in quei luoghi, ostelli, locande o piccoli hotel in cui rifocillarsi e passare la notte, per poi riprendere il cammino il giorno dopo.

Devo dire che, quest’anno, il peso dello zaino era di gran lunga maggiore di quello dell’anno scorso, circa trenta chili ma, credetemi, niente di superfluo se non alcune cose comuni e qualcuna di mia moglie, proprio per alleggerirle il carico. Ed è così che, da Porto ed esattamente dalla sua cattedrale, faticando un po’ per trovare la giusta direzione, siamo partiti, seguendo prima la riva del fiume Douro che attraversa la città e proseguendo poi lungo la costa atlantica.

Un intero giorno, il percorso, su assi di legno in terra o appena sollevate, con alla sinistra l’oceano, le sue scure scogliere e poche spiagge. Alla nostra destra tutta la città di Porto prima, e i piccoli centri poi costituenti la periferia della città che lasciavamo. Il percorso poi vira verso l’entroterra, in direzione di altri centri importanti come Barcelos, Ponte de Lima, Valença posta al confine tra il Portogallo e la Spagna. Particolarmente bella, Ponte de Lima, per i suoi tratti ricchi di storia. Qui la leggenda delle legioni romane che non vollero attraversare il fiume Lima, pensando che si trattasse del fiume Lete, il fiume dell’oblio. I rudi militari furono convinti a superare il corso d’acqua solo quando il console comandante, gettandosi tra i flutti con il suo cavallo, giunto sulla riva opposta iniziò a chiamarli per nome, dimostrando così di aver conservato tutti i suoi ricordi nonostante il bagno. Oggi tutto ciò è rappresentato con sagome in metallo, proprio a ridosso del fiume, da un drappello di soldati romani e, sull’altra sponda del fiume, un grande destriero con il console che incita a seguirlo. Il ponte romano, molto bello e molto grande, voluto in seguito da Giulio Cesare, unisce le sponde del fiume e consente di proseguire in direzione Valença.

Altra bellissima cittadina su cui sempre i romani edificarono una fortezza, con porte e ponti levatoi su solide mura a difesa della città. Anche oggi, “ultimo avamposto” portoghese prima di attraversare il fiume Minho e raggiungere Tui, in Spagna, anch’essa fortificata dai romani. È il caso di dire che qui i romani hanno fatto la storia e hanno lasciato, come spesso hanno fatto, testimonianze indelebili del loro passaggio, della loro cultura, sì di conquista, ma anche di trasmissione di civiltà e conoscenze, costruendo in molti casi quegli esempi di profonda integrazione con e fra le popolazioni dei territori conquistati.

Gran parte del cammino portoghese e del tratto galiziano in Spagna sono ancora su selciati romani, spesso con pietre talvolta aguzze che fanno male ai piedi, soprattutto se affrontate con trenta chili sulle spalle. Su queste carretere raggiungiamo la cittadina di Pontevedra, famosa nella storia per i suoi cantieri navali che vararono una delle tre caravelle di Cristoforo Colombo, la Santa Maria.

Si raggiunge il giorno dopo Padron, cittadina anch’essa segnata nella storia per la sua romanità e per la presenza, nella Chiesa di Santiago di Padron, sotto l’altare maggiore della bitta a cui, secondo la leggenda giacobea, venne ancorata la barca che aveva portato le spoglie di san Giacomo fino in Galizia.

Da Padron, alle 4:30 del mattino ci incamminiamo per raggiungere in mattinata, dista “solo 24 km”, la nostra meta, attraversando, pochi chilometri prima dell’arrivo, un paesino dal nome assai breve e a me familiare, Teo.
Grande il desiderio di ritrovarsi su quel “campo stellato” su cui è stata costruita l’immensa cattedrale, dalle grandi navate dominate da un organo dorato di dimensioni proporzionate.
Al centro, visibile da tutti i lati, l’altare maggiore, che sorge proprio sulla cripta di quel san Tiago (san Giacomo) che per undici anni, fuggitivo dalla Galilea e dopo la morte di Cristo, ha predicato il Vangelo in tutta la regione.

Arriviamo di giovedì, per poter assistere il giorno dopo a quello che credevamo si facesse ancora il venerdì di ogni settimana, ossia l’emanazione dell’incenso dal grande turibolo, botafumeiro, durante la Santa Messa serale. Tristezza e desolazione nell’apprendere che quell’evento, oggi assai raro, ormai da alcuni anni non si tiene più sistematicamente il venerdì, ma solo in casi eccezionali, in occasione di feste particolari o alla presenza di importanti personalità. Vuoi per l’organizzazione indispensabile, vuoi per i costi dovuti anche al personale necessario, almeno una decina di persone. Ed è così che, stanchi ma soddisfatti per aver ritirato anche la seconda Compostela, ossia la pergamena che attesta il cammino percorso, decidiamo di assistere il giovedì sera alla Santa Messa per poter andare il giorno dopo poi in gita a Finisterre.

Il botafumeiro veniva utilizzato prevalentemente per coprire il forte odore emanato dai pellegrini che affollavano la cattedrale alla fine del Camino, questo perché era quasi d’obbligo che non si lavassero durante tutto il percorso.
Un esemplare di cui si ha notizia certa era una grande pignatta di argento del secolo XVI, dono del re Luigi XI di Francia, in seguito rubata dalle truppe napoleoniche.
L’attuale turibolo è stato fuso nel 1851, utilizzando ottone poi ricoperto d’argento, e solo recentemente ha assunto la funzione che gli è propria.

Alle 19:00 la cattedrale è gremita di pellegrini da ogni parte del mondo, con dieci o forse più officianti sull’altare maggiore per la celebrazione dell’Eucarestia in molte lingue, spagnolo, portoghese, inglese, tedesco… e per fortuna anche in italiano. Allora, e solo allora, il sacerdote anziano comunica che, al termine della funzione, ci sarà la rappresentazione del turibolo.

La gioia e l’incredulità hanno scaldato e fatto battere i nostri cuori ancor più forte per assistere al tanto sospirato evento. È stato un vero momento magico. Stupore emozione e commozione in un mixer di momenti altalenanti e ripetitivi. Questo alla fine, forse, il più bel regalo del nostro viaggio. Nel raccontare a un amico quanto accaduto, mi ha messaggiato sul telefonino “la fortuna premia gli audaci”.

Credo sia stato invero il giusto premio per chi ha deciso di tornare in un luogo intriso di storia e sacralità, di fede e di speranza per contrastare un futuro sempre più opacizzato da conflitti, diatribe, divisioni.

Nella solida convinzione che il dialogo e la disponibilità verso il nostro prossimo, sia esso vicino o all’altro capo del mondo, siano il seme di fratellanza per un futuro migliore, di libertà e uguaglianza sociale, nel concepimento di quel benessere a cui tutta l’umanità deve poter ambire.

In questo pensiero, forse, siamo un po’ audaci e speriamo che, in questo sì, la fortuna ci premi.

Foto: Wikipedia