Tu sei pazzo

È strano a dirsi, ma ci sono momenti in cui il solito nesso causale che muove le nostre vite (ho bisogno di una cosa -> faccio qualcosa per ottenerla) non vale più, o per lo meno rimane nascosto. Così succede di partire perché ci si sente di farlo, ma non capendo bene perché e accettando in sé stessi un pizzico d’insanità mentale… lo si capirà solo al ritorno per cosa lo si era fatto.

Se soltanto una decina di anni fa qualcuno mi avesse chiesto di fare una “passeggiata” di alcune centinaia di chilometri, avrei risposto senza alcuna remora “tu sei pazzo”.

Oggi, dopo aver fatto il Camino de Santiago per ben tre volte e in tutte le sue varianti, ovvero quello Tradizionale, quello Portoghese e quello Primitivo, posso tranquillamente rispondere con ampia cognizione di causa che, se non lo avessi fatto, non avrei mai potuto provare emozioni, sensazioni, fatiche e gioie così incredibili, e così intense che, proprio per questo risulta quasi impossibile raccontarle.

Trovo la forza e il coraggio di farlo, prendendo spunto dalla mia ultima e recente “passeggiata” della via Francigena, di “soli” 170 km in sei giorni con arrivo nella sempre affascinante basilica di San Pietro in Roma.

Cosa mi ha spinto e mi ha sostenuto in questa mia ultima (spero solo in ordine di tempo) e lunga camminata, è difficile da spiegare.
Certo che, la relativa vicinanza del percorso, ovvero la via Francigena, hanno reso la scelta certamente più abbordabile, considerando i miei molti impegni, potendo raggiungere facilmente il luogo della partenza e del percorso stesso. Sui diversi cammini in genere, sulla bellezza e la diversità dei paesaggi, sui luoghi che si attraversano, come pure delle genti che si incontrano, si è già scritto e descritto molto e credo che nulla di più possa essere aggiunto.

Sulle motivazioni, vere o presunte, che spingono uomini e donne a percorrere a piedi centinaia di chilometri, penso si possa e si debba dire e scrivere ancora qualcosa. Ci provo, cercando di leggermi in modo introspettivo, cosa – vi assicuro – non facile; vuoi perché non l’ho mai fatto e vuoi perché, forse, proprio perché sono cose celate al nostro interno, diventano difficili… da esternare.

Molti legano questa loro esperienza a un fatto principalmente spirituale e comunque religioso, con il quale dimostrare la forza della loro fede, sancita dal sacrificio del corpo, come vera e propria fustigazione nell’espiazione di quelle colpe o di quei peccati che, purtroppo, chi più chi meno, commettiamo e di cui non riusciamo a liberarci.

A poca cosa servono i sensi di colpa postumi, così come inutili sono quei tentativi di giustificare gli errori commessi solo perché facciamo un pellegrinaggio più o meno lungo verso un luogo di culto. Non è e non può essere, a mio avviso, solo un voto di Fede e di Credo.

Un cammino o, se volete, il Camino, così come ormai è universalmente riconosciuto, verso Santiago, verso San Pietro o verso qualsiasi altra cattedrale, basilica o chiesa, anche la più sperduta, non può essere una sorta di rito per lavarci dai nostri peccati. È molto di più. E sarebbe una vera e propria deminutio se li considerassimo tali.

E la fatica che facciamo, le lunghe salite su terreni accidentati che fanno urlare i muscoli delle gambe e tolgono il respiro, non possono essere solo strumenti di epurazione.

È così che, durante il cammino, ci si ritrova spesso a parlare con se stessi, a guardarsi, se non addirittura ad osservarsi, a confrontarsi con ciò che è dentro di noi e che il tran-tran della vita quotidiana, gli impegni, il lavoro, ma anche le cose più futili e terrene, non ci fanno trovare se non addirittura ci nascondono.

Il silenzio ci accompagna fragoroso durante la maggior parte del cammino, interrotto solo a tratti dal rumore dei rami e delle foglie mosse dal vento oltre che dai versi degli animali nel bosco. Anche gli abitanti dei piccoli borghi che si attraversano, sembrano muoversi silenziosi pur elargendo sorrisi e saluti a noi pellegrini che, inconfondibili nell’abbigliamento e nella fatica stampata sul volto, ci guardiamo intorno alla ricerca di quella segnaletica per la prosecuzione del nostro cammino, magari per stampare il timbro sulle nostre “credenziali” o, al termine della giornata, per la ricerca del luogo dove ristorarsi e magari passare la notte.

Il dolore del corpo, la fatica per i giorni di cammino con il peso dello zaino, il sole, la pioggia, di cui non ricordavamo più o addirittura non avevamo mai provato la leggerezza dell’acqua sul volto, la sua morbidezza sulle mani e sui piedi inevitabilmente bagnati, già segnati e martoriati dalle vesciche prima e da vere e proprie escoriazioni poi, non bastano a fermarci, a farci rinunciare.

E poi per la gioia del nostro olfatto, percepire quegli odori di campagna, di erba tagliata o, a seconda del periodo, di terra arata. Così come, in alcune zone in prossimità di fattorie, l’odore dello stallatico o di frumento raccolto. Il canto del gallo mattutino ci ricorda che è un nuovo giorno, e che la strada da percorrere non è finita.

Ciò nonostante, ogni mattina, al sorgere del sole e dopo sforzi immani a cui non solo non siamo abituati ma di cui nemmeno immaginavamo l’esistenza, riusciamo a trovare la forza per riprendere il nostro viaggio. E, come d’incanto, dopo pochi minuti, ogni dolore, ogni bruciore, ogni stanchezza sembra svanire e riprendiamo a pensare, forse a sognare.

Ogni cosa, la più piccola, quella che può sembrare la più insignificante, una foglia, un filo d’erba, una ragnatela tra i rami, una goccia di rugiada sul viso, un ciclamino selvatico o un fiore di campo, un albero, un sasso dalla forma un po’ strana, un riccio socchiuso di un castagna, diventano cose enormemente grandi e importanti.

Si riscopre la vita, la bellezza del Creato e di tutto ciò che ci circonda, riscoprendo il rispetto e l’esistenza di essa in quanto tale. E quasi vorremmo che tutto questo si marchiasse in noi proprio come un tatuaggio per non cancellarsi più. Purtroppo così non è!

Lentamente ma inesorabilmente ci si accorge, ahimè, che il paesaggio sta cambiando. I sentieri in terra battuta nel bosco diventano delle stradine in brecciolino prima e delle vere e proprie strade poi.
Cominciamo a camminare su marciapiedi o, dove non ci sono, facendo attenzione alle auto che ci affiancano. Le case cominciano a diventare numerose per trasformarsi poi in alti palazzi e in veri e propri quartieri.
Arriviamo in città! Stremati ma felici ed orgogliosi di ritirare il nostro Testimonium all’interno della Basilica non prima di aver fatto una fila lunga e, forse proprio perché l’ultima, estenuante.

Solo dopo pochi giorni dal nostro rientro, quando la nostra faticosissima ma meravigliosa esperienza è finita, tutto sembra nella nostra mente cancellarsi, finisce nell’oblio del dimenticatoio della vita frenetica di tutti i giorni, dalla quale non possiamo più sottrarci.

Ma un pensiero, fisso ed indelebile, ci sostiene ed ispira: a quando il prossimo Camino?

Foto: Henry Xu da Pixabay