Lo faranno senatore a vita
Riflessioni su come, consapevolmente o meno, questo periodo sta mutando le nostre esistenze, oggi e probabilmente per sempre.
Sono ormai molti giorni che, al mattino, non ho più l’urgenza e la necessità di recarmi in ufficio troppo presto. È tutto chiuso. È tutto fermo. Tutto paurosamente immobile.
Mi trattengo, allora, alla finestra della mia camera da letto che guarda sul giardino dove, insieme ad altre piante, una grande magnolia fa bella mostra di sé. Fra i rami, una tortora lavora alacremente da alcuni giorni. Sta costruendo il suo nido, aiutato dalla sua compagna che saltella due rami più su.
Forse vuol dirmi qualcosa, ma non capisco il suo linguaggio. Si volta e si ferma spesso a guardarmi, in questo silenzio a cui non sono più abituato, in questa calma forzata, in questa strada dove nessuno o quasi più passa. Mi accingo anch’io in una posizione di attesa, ascoltando solo ciò che accade fra gli alberi.
Le tortore, con il loro svolazzare riempiono di “voci e suoni” le ore del mattino, nulla sanno del nostro dolore ma che, in un momento così triste, madre Natura ci ha mandato come messaggeri di speranza.
Sono certo che, il primo che proclamerà “siamo fuori pericolo dal virus” gli daranno il premio Nobel, o addirittura lo faranno Senatore a vita. Ed io spero che sia un medico, uno di quelli che, consapevole degli enormi rischi che correva ha messo in gioco la propria pelle per salvare quella degli altri.
Ben altra cosa rispetto a chi, come me, si danna l’anima perché non può uscire di casa. Perché non può fare tutto quello che faceva e che sempre ha fatto. Siamo diventati diversi e, lasciatemelo dire, per certi aspetti anche migliori. Tutto per merito o colpa di un virus che ci ha cambiato la vita. E dobbiamo prendere atto del cambiamento e di ogni giorno che trascorriamo, ogni cosa che facciamo, ogni parola od anche ogni scritto, hanno necessariamente un tono più attento, profondo, cortese. Chissà, forse questo virus ci sta riportando ad una dimensione più umana, alla quale non eravamo più abituati.
Mai prima d’ora, se non da bambino, mi sono accorto dell’arrivo della Primavera. Del risveglio della natura, dei mandorli e dei peschi in fiore, delle margherite sui prati, dello svolazzare delle api per l’impollinazione, della nidificazione degli uccelli, di qualche rondine, della ricomparsa delle lucertole sui muri a prendere il sole. Già, le lucertole, con il loro colore verde-giallognolo. Quello stesso colore che abbiamo preso noi costretti a stare chiusi in casa, in attesa della fine di questa pandemia.
Sono certo che, quanto prima, torneremo magari gradualmente, alla normalità. Avremo debellato e sconfitto questo invisibile invasore che è entrato nelle nostre città, nelle nostre piazze, nelle nostre case. Ci ha distrutto e cambiato la vita, in alcuni casi ci ha tolto gli affetti più cari. Ci ha costretto a fare cose che non avremmo mai fatto e ci ha impedito di fare quello che eravamo abituati a fare.
Sursum corda, lo sconfiggeremo. E allora torneremo alla nostra normalità, ai nostri impegni, al nostro lavoro, ai nostri svaghi. Potremo persino tornare a bere uno spritz, liberamente seduti in un bar all’aperto, magari mentre suona un’orchestrina nella nostra Piazza San Marco. I nostri figli potranno tornare a scuola. Potremo tornare a correre e a far giocare i bimbi nei parchi o in bici sulle nostre piste. Potremo andare in chiesa, al cinema o al teatro. Potremo andare a mangiare una pizza o in un ristorante con amici e far spese per negozi. Potremo persino andare, più barbuti e capelloni che mai dal nostro amico barbiere. Torneremo ad essere turisti. Torneremo di nuovo a visitare mostre e musei, monumenti e pinacoteche. Torneremo in palestre e centri benessere. Saremo liberi di passeggiare dove e quanto vorremo.
Ma una cosa anche è certa. Quanto accaduto, ha scavato in noi un solco profondo, indelebile, che non potremo mai dimenticare.
Foto: Bhakti Iyata da Pixabay