Ma mi facci il piacere!

Articolo pubblicato sulla rivista "NEXUS" n. 113 - Primavera 2020

La cronaca italiana del Covid-19 analizzata criticamente, oltre l’ipocrisia del “va tutto bene” che nasconde le magagne di una politica drammaticamente inefficiente.

In questo numero, avrei tanto voluto parlare della Primavera, non solo come stagione che succede al grigio inverno ma anche come “fioritura” di fatti ed elementi nuovi, essenziali per la tanto desiderata ripresa del nostro Paese. Devo invece scrivere e parlare, dei gravi fatti di questi giorni che sembravano dovessero riguardare soltanto l’estremo oriente, la Cina in particolar modo, di quello che rapidamente purtroppo si è diffuso e si sta diffondendo in Italia, in Europa e nel mondo intero.

Covid-19 è il termine scientifico, più comunemente conosciuto come Coronavirus, per la forma di tante protuberanze a coroncina di questo virus visto al microscopio. Nasce a Wuhan, Cina, e sembra essere apparso nel mercato degli animali selvatici vivi, dove rettili e pipistrelli, anche se a me sembra impossibile, sono considerate prelibatezze per gli abitanti del luogo. Ma chi scrive non è né un medico né un ricercatore per poter parlare con cognizione di causa della malattia, di come si manifesta, della sua incubazione, di come si trasmette, di come si cura. Più appropriato e più vicino al mio modo di pensare risulta argomentare, non già dei suoi effetti certamente negativi soprattutto sulla salute degli anziani, ma principalmente delle ripercussioni che ha, che ha avuto e che avrà su tutto il sistema economico nazionale e internazionale.

Scrivo da una città, Venezia, che insieme a Milano, Bergamo, Brescia e alle due così dette zone rosse di Lodi e Vo’ hanno avuto e ad oggi hanno ripercussioni di non poco conto, come d’altronde ormai quasi tutto il resto dell’Italia. L ’isolamento forzato a cui sono state costrette le zone focolaio del virus e tutta una serie di provvedimenti hanno ricadute che comportano e comporteranno come conseguenze primarie e immediate l’abnorme risultato di allontanare i cittadini dal luogo di lavoro, di produzione e, perché no, anche dalla spesa, inferendo così un colpo mortale a tutto il sistema produttivo nazionale.

Bloccare il Paese, fermare il Paese vuol dire uccidere definitivamente quella già flebile economia di cui purtroppo già da alcuni anni siamo spettatori inermi. Quella che è stata definita da molti esperti e virologhi come una poco più che influenza è diventata una pandemia di “peste bubbonica” degna de I Promessi Sposi da cui difficilmente se ne esce vivi.

L ’altro paziente, non anziano che ne morirà sarà quello dell’economia, di tutti i suoi comparti e le sue ramificazioni, dal turismo alle esportazioni, dai settori produttivi in genere, all’agricoltura, alle importazioni, ai trasporti, e chi più ne ha più ne metta.

Nella Città di Venezia e nell’Area Metropolitana, il sindaco, onnipresente con gambali da pescatore nel periodo dell’acqua alta, sembra essere scomparso, volatilizzato. Nessuna dichiarazione, nessun messaggio, neanche di vicinanza alla cittadinanza e a quelle attività produttive già duramente colpite nel novembre scorso. E sì che tutti lo abbiamo conosciuto per il suo presenzialismo nei mercati, nella raccolta di rifiuti, nei quartieri e nei cantieri soprattutto, a onor del vero, della terraferma. In questa circostanza sembra essere stato “commissariato” dalla Regione. Ha lasciato, il nostro sindaco, perfino l’esclusiva di interrompere il Carnevale al governatore Zaia, il quale, invece, presente in ogni trasmissione televisiva, pur tranquillizzandoci, chiudeva le scuole, i cinema, i teatri. Anche gli stadi, le palestre e i palazzetti dello sport hanno subito lo stesso trattamento. Perfino le banche sono aperte solo fino alle ore 13, come se il contagio, certo e mortale, potesse avvenire solo il pomeriggio. C’è mancato poco che chiudessero pure gli ospedali, e che si desse la possibilità a vigili urbani, poliziotti e carabinieri di fare il tampone per scoprire i contaminati dal virus, come si fa per l’alcool test!

È di questi giorni (14 marzo per chi legge) l’affermazione del nostro governatore che faremo tutti il tampone, in barba a chi in altre nazioni ha tenuto un comportamento assai tardivo e superficiale nei confronti di quella che, l’OMS ha sancito essere una Pandemia. A Milano, dal palazzo regionale, il governatore Fontana ha rischiato il suicidio nell’infilarsi una mascherina protettiva… Con modo goffo e disarticolato riusciva a posizionarsela sulla fronte e sugli occhi. Coperto dalle telecamere, qualcuno gli avrà forse suggerito che quella non era la posizione giusta e quindi con gesto un po’ irritato la portava davanti al naso e alla bocca.
“Mi sono posto in autoisolamento” ha commentato il governatore in una diretta Facebook, “in seguito al fatto che una mia diretta collaboratrice sembra abbia contratto il Coronavirus. Non vi spaventate, ho cominciato a indossare la mascherina per evitare di contagiare qualcuno.”

A dire il vero il governatore non ha spaventato, ma ha, a dir poco, terrorizzato mezza Italia se non tutta, con questo suo teatrale quanto goffo gesto che ha fatto il giro del mondo. Non perché non fosse giusto indossare la mascherina, ma proprio nel modo in cui, davanti alle telecamere lo ha fatto e ha ritenuto di doverlo commentare. E pensare che i governatori citati sono nelle classifiche generali fra i più capaci e seguiti. È certamente vero ma, in un momento come questo, forse avrebbero dovuto non farsi prendere dal panico e agire sì con prudenza, perché la salute dei cittadini viene prima di tutto, ma non interpretare il “meglio prevenire che curare” come un “fermiamo tutto, blocchiamo ogni cosa”. Assumendosi la responsabilità, scusate il bisticcio di parole, di non volersi assumere alcun’altra responsabilità che invece un bravo politico o un amministratore capace dovrebbe sapersi assumere. Le informazioni che arrivavano dal governo, forse, potevano consentire loro di muoversi con maggiore tempestività e in alcuni casi, informare più correttamente sin da subito la cittadinanza.

Nei giorni scorsi i titoli delle prime pagine dei giornali segnalavano l’attenuazione del fenomeno e della sua non pericolosità. Nelle seconde pagine, la chiusura delle scuole per un’altra settimana e la proroga di tutti gli altri nefasti provvedimenti per l’economia. Le contraddizioni contaminavano e distorcevano l’informazione giornaliera… tutto va meglio, sta passando, non è così pericolosa… ma intanto imperversavano circolari e ordinanze restrittive degne di epoche da coprifuoco. Persino le riunioni condominiali venivano sospese e rinviate a data da destinarsi. Attenzione è pandemia, nei giorni successivi.

Questa l’alternanza delle informazioni. E poi… l’Italia è tutta una zona rossa. Non uscite di casa. Notiziari di guerra…

Il Governo ha fatto tutta la sua parte. E il “tutta” sta certamente nel contribuire a far nascere tra la gente la psicosi di un Paese ormai infetto.
L’isteria collettiva di contagiati e contaminati, di portatori sani ovvero asintomatici ormai è diffusa in tutto il Paese. Abbiamo fatto più controlli noi in Italia che in tutti gli Stati europei messi insieme. Siamo additati da stampa e network internazionali come il secondo paese al mondo per numero di contagi, dietro solo la Cina. Ogni giorno i bollettini medici snocciolano cifre precise e puntuali degli ultra ottuagenari che muoiono con concause del coronavirus. Non importa se già ricoverati e in già precarie situazioni cliniche. Ma quante vittime fra gli anziani già affetti da patologie diverse ci sono state l’anno scorso in seguito alle concause influenzali?

Nessuno lo dice, nessuno lo riporta a sufficienza. Il Governo, si fa per dire, affetto sì da ben altri “virus” come quello della prescrizione, il fermo dei cantieri, l’occupazione, l’Ilva di Taranto, Alitalia, Autostrade, il fallimento della Banca Popolare di Bari e, ancora, chi più ne ha più ne metta, sembra aver indossato guanti e mascherine e cerca comunque di resistere allo sciacallaggio politico che, per la circostanza, fa l’opposizione. Neanche in questa situazione la nostra classe politica e pseudo-dirigente è capace di sedersi intorno a un tavolo e fare fronte comune. Lo spettacolo è dei peggiori, di quello che non vorremmo mai vedere e a cui invece quotidianamente assistiamo e ascoltiamo.

Siamo un paese politicamente diviso, ha detto qualcuno. No, siamo un paese in cui, ipocritamente, i politici di ogni estrazione cercano di trarre, anche in questa situazione, un becero vantaggio elettorale.

Non importa il danno al Paese e alla cittadinanza, l’interesse di partito e di qualche decimale in più in termini di fantomatici consensi, viene prima di tutto.

Viene quasi voglia di autoisolarsi, alla stregua di quel governatore lombardo, non per non contagiare, ma per non essere contagiati da chi, a parer mio, dovrebbe impegnarsi di più e meglio, ovvero lasciare il posto ad altri, se ce ne fossero, che credono ancora in questo Paese.

Anche l’Europa fa i suoi balzelli. Da un bellissimo e condiviso intervento della presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen – che parafrasando l’intervento di John Kennedy a Berlino di molti anni fa ha detto “siamo tutti Italiani” – si è passati all’infelice quanto catastrofica, per tutti i mercati finanziari, dichiarazione della più alta carica della BCE, Christine Lagarde.

In Inghilterra il Premier Boris Johnson, dopo aver inizialmente sostenuto che il Coronavirus non avrebbe interessato il suo Paese dichiara: “molti nostri congiunti moriranno”. Alla faccia della coerenza e della moderazione.

In America, il rude Trump, davanti ai contagi e ai tonfi di borsa, è costretto a dichiarare l’emergenza nazionale. 

Intanto la quarantena, dapprima facoltativa, è diventata pressoché obbligatoria. 

Tutti a casa!

Si fa presto a dirlo ma molto più difficile a farlo, soprattutto per chi è lavoratore autonomo o titolare di una piccola azienda. 

Dopo ogni temporale, ogni tempesta esce sempre l’arcobaleno. Questo pensiero deve darci la forza di resistere ed andare avanti. 

E, a proposito dell’epidemia di contagio da Coronavirus, mi viene da dire:
E mi facci il piacere!… così forse avrebbe esordito l’indimenticabile Totò, re dell’ironia che si fa riso. 

L’umorismo nell’ironia tragica del quotidiano alla quale, purtroppo, ci siamo tutti un po’ assuefatti.

Foto: rottonara da Pixabay