Il foglio

Ogni giorno riempiamo infiniti fogli bianchi con il racconto della nostra vita, in continuo aggiornamento fino alla morte. Ma quanto di questo vogliamo che rimanga, che possa venir letto da qualcuno a cui teniamo? Quanto invece svanirà come se fosse stato scritto con un inchiostro evanescente? E quanti altri fogli bianchi stiamo cancellando o non scrivendo perché ci affidiamo ciecamente alla tecnologia, che però non fa i nostri interessi ma i suoi?

Sto scrivendo naturalmente su un foglio bianco.
Lo stesso foglio che, per colpa dell’inchiostro della mia penna, presto sarà solcato dal mio scritto che lo farà apparire un po’ meno bianco, meno candido ma, certamente, un po’ più interessante.

Già, infatti, quale interesse può suscitare un foglio bianco, qualcosa che non c’è, che non esiste o, nella fattispecie non è stato utilizzato? Quale e quanta curiosità invece, ci spinge a leggere qualcosa di nuovo, di cui non si conosce la trama, la storia e qualche volta, magari all’inizio, non se ne capisce il senso? Ecco che, quel bianco, quel candore pur preminente in un foglio, diventa un accessorio per lo più insignificante rispetto a quello che leggiamo. Lo abbiamo trasformato, utilizzato e, se il nostro scritto è interessante, lo abbiamo fatto nel modo migliore, nel modo più giusto. Il nostro intervento ha trasformato una cosa anonima e usuale in una cosa particolare, personale, significativa.
Ma ogni cosa bisogna conoscerla, sapere che c’è, che esiste.
Ed è questa la domanda che molto spesso oggi mi pongo davanti ad una cosa insolita, anche semplice, scontata se volete, ma diversa, alla quale magari non siamo più abituati.

Quanti ragazzi oggi, per esempio, hanno visto un pollaio con le galline che covano le uova? O l’aia di una fattoria con oche, tacchini, polli e anatre libere di razzolare come niente fosse?
Chi ha visto mai una stalla piena di mucche con il vitellino che, attaccato alla mammella della madre, ne ciuccia il latte? E l’odore dello stallatico, così penetrante e intenso ma anche così naturale e, per quanto mi riguarda, gradevole? Quanti hanno visto mungere una mucca? Quanti hanno avuto la possibilità di vedere un gregge di pecore al pascolo? Il pastore con in spalla, legato da uno spago, il suo grande ombrello di legno per non attirare i fulmini, la bisaccia con il pranzo e il suo bastone ricurvo immancabilmente sotto l’ascella per appoggiarsi? Oppure un nido di passeri o di cardellini tra i rami di un albero, con i piccoli a bocca spalancata che aspettano la madre per essere nutriti? Chi si è soffermato più di tanto ad osservare qualcuno coltivare un orticello, potare una pianta, annaffiare dei fiori?

Tutte cose semplici, queste, bellissime nella loro naturalezza ma, purtroppo, sempre più difficili da vedere, da trovare.
Tutte passate inconsciamente e incomprensibilmente in secondo piano se non addirittura scomparse.
È come se, per ritornare al foglio bianco, tutto ciò che è stato scritto, tutto l’inchiostro che ha solcato il foglio bianco della vita negli anni passati, si sia scolorito o abbia deciso a nostra insaputa di andare via e dileguarsi dalle menti degli uomini.
Come se, estraendo dalla libreria della nostra casa un libro già letto per il piacere di rileggerlo, lo trovassimo terribilmente bianco. Con le pagine sì un po’ ingiallite dal tempo, ma con le parole fuggite altrove o, peggio ancora, auto-cancellatesi per non farsi più leggere e insegnarci qualcosa.
Dobbiamo fare in modo che questo non possa realmente accadere.

Tutti, indistintamente, dobbiamo fare del nostro meglio affinché ci sia memoria del nostro passato e custodirlo con ogni sforzo in tutta la sua integrità.

Cosa hanno perso e stanno perdendo i nostri figli e i nostri nipoti nel non conoscere ciò con cui noi siamo cresciuti e abbiamo vissuto! Nel non leggere il Libro Cuore o i Promessi Sposi, solo per fare alcuni esempi. A noi l’arduo compito di trasmettere alle generazioni future tali emozionanti esperienze e conoscenze.

Perché molto dipende da noi, da come e se le raccontiamo, da come e cosa facciamo per conservarle prima e trasmetterle poi. Siamo in un’era in cui i racconti, le storie, sembrano non interessare ai nostri giovani, rapiti da ben altri interessi, soprattutto informatici, che hanno finito per esautorare altre conoscenze, altre esperienze.

Certo, nel terzo millennio è pressoché impossibile – e non lo vorrei nemmeno io che solco questo foglio con i miei pensieri – non considerare utilità e necessità di questi strumenti, certamente validissimi in ogni situazione e circostanza. Senza esagerare però, senza essere “informatico- dipendenti”. Non ci accorgiamo che, inesorabilmente, stanno diventando loro, gli strumenti tecnologici sempre più all’avanguardia, i nostri compagni, i nostri insostituibili “amici” che ci allontanano e ci isolano persino dalle persone a noi più vicine, dalla moglie, il marito, i figli? Insomma, che ci alienano dalla nostra stessa famiglia?

Ed ecco che l’aia, il pastore, la stalla, gli uccellini ecc. non esistono più, proprio come il De Amicis e il Manzoni, e scompaiono dallo scibile delle generazioni presenti e future. Sarà quindi nostro compito mantenerle, conservarle, trasmetterle, spiegarle e farle comprendere. Troppe cose oggi ci sfuggono nell’ingannevole pensiero di poterle fare o sentire grazie alla velocità degli strumenti che abbiamo a disposizione. Proprio questi strumenti, invece, con i loro algoritmi, non ci consentono più di riflettere e osservare le cose, anche le più naturali, che con i ritmi sfrenati delle moderne economie stanno sparendo.

Non facciamo che ciò accada. Ne saremmo tutti responsabili. Per questo, al termine di questa lettura forse noiosa, soffermatevi a riflettere e ad immaginare quanto migliore sarebbe il nostro vivere quotidiano se trovassimo il giusto equilibrio. Concorrerete anche voi a far sì che, questo foglio, una volta bianco, serva veramente a qualcosa.

Foto: Karolina Grabowska da Pixabay