Se potessi avere… Mille lire al mese

Da un paio di scarpe male in arnese si parte per arrivare ad una spesa serale in un piccolo supermercato di periferia; a volte l’abito fa il povero e soprattutto fa emergere il pregiudizio e l’intolleranza di molte persone (ma non tutte…).

Era l’ultimo od il penultimo anno del secolo scorso che, detti così sembrano essere ancora più lontani nel tempo ma sono così citati, al solo scopo di attrarre  l’attenzione del lettore su questa storia realmente accaduta e di cui, da allora non ho mai parlato con nessuno. Nemmeno ai miei familiari e alle persone a me più care, unicamente perché non volevo essere tacciato di superficialità, di protagonismo compassionevole o, ancora peggio, di essere uno screanzato inaffidabile.

Mi occupavo allora di seguire personalmente tutte le varie fasi esecutive dei lavori all’interno del cantiere e non disdegnavo, com’è nel mio stile, di rimboccarmi spesso anch’io le maniche e dare una mano. Ne conseguiva che, sovente, anche il mio abbigliamento fosse, per così dire, poco sobrio od elegante, se non addirittura da operaio. Questa cosa stupiva spesso tutti coloro che mi conoscevano o che incontravo in circostanze anche diverse, pur ovviamente e per fortuna con un diverso abbigliamento. Non ci facevo caso e non ci badavo troppo, anche perché ho sempre sostenuto che importante è “essere e non apparire”. La distanza poi dalla mia famiglia, che vedevo solo nei fine settimana, concorreva forse al non troppo riguardo del mio abbigliamento che, ancora oggi, lo riconosco, non è certamente tra i più ricercati. Ma sono fatto così, un po’ alla “Marchionne” se volete, preferisco il giro collo alla cravatta, la sostanza all’apparenza.

Ebbene quel giorno, che ricordo particolarmente freddo ed umido, dopo aver lavorato fino alle prime ore del pomeriggio, decisi di andare a Padova per ritirare un attrezzo, un martello perforatore, che avevo portato alcuni giorni prima a far riparare. Mi muovevo allora, con un pulmino Fiat Ducato che utilizzavo anche per trasportare gli operai tutti i fine settimana quando rientravamo a Roma. Decisi, quel giorno, per non perdere tempo in quanto già tardi rischiando di trovare chiusa l’officina del mio interlocutore, di non cambiarmi ed andare con i miei indumenti di lavoro, particolarmente consunti e con ai piedi un paio di scarpe che, proprio quella mattina e improvvisamente, avevano manifestato tutta la loro usura con lo scollamento della suola. Erano un vecchio paio di scarpe mocassini, naturalmente da “lavoro”, ma non perché fossero del tipo antinfortunistiche, ancora non obbligatorie, ma solo perché vecchie ed economiche. 

Così, la suola in gomma, tipo copertone, si era scollata con quel tradizionale effetto, quando si camminava, a bocca di coccodrillo. Non mi persi d’animo, avevo nel mio pulmino del nastro adesivo nero, da elettricista e, con esso, feci due o tre giri intorno alla scarpa “imbrigliando” così la suola. Devo dire che, nero su nero, gomma su gomma, non stava affatto male. Risi tra me dell’idea geniale e fu così che decisi di intervenire anche sull’altra suola per non far notare la differenza.

Il nero opaco della scarpa, arricchito dalle strisce del nastro nero lucido, sembrava un nuovo modo di stringere la tomaia. Pensai, nella mia irrefrenabile ingenuità e nel mio rozzo stile che, se qualche produttore di scarpe mi avesse visto, ne avrebbe tratto certamente spunto per lanciare una nuova moda.

Incontrai anche del traffico in autostrada, cosicché arrivai appena in tempo dal fornitore, giusto qualche minuto prima della chiusura. La consegna si svolse tutta molto velocemente, mi fece vedere i pezzi che aveva sostituito e, con il martello perforatore ancora sporco di grasso, me lo consegnò ed io lo riposi nella sua apposita custodia in ferro, anch’essa sporca ed unta. Nel fare tutto ciò, naturalmente, mi sporcai anch’io le mani di olio e grasso e dato che ormai l’officina aveva già tirato giù la serranda e non c’era più, né il tempo, né la possibilità di lavarmele, non potei far altro che pulirmele sulla parte davanti delle gambe dei pantaloni da lavoro, per non sporcare il sedile del mio mezzo di locomozione. 

Caricai quindi la cassetta di ferro con il mio “prezioso” attrezzo sul pulmino, chiusi il portellone posteriore, salii e ripartii per rientrare. Ormai era buio, un’altra giornata di lavoro era finita e, soddisfatto anche per aver fatto tutto, pensai che avrei dovuto fermarmi per prendermi qualcosa per la cena, considerato che, altrimenti avrei potuto trovare poi, i negozi chiusi.

Abitavo solo, in un minuscolo appartamento e spesso la sera, assai stanco, dopo una doccia ristoratrice non volevo più uscire per andare a mangiare. Preferivo spesso prepararmi qualcosa anche di frugale, pur di restare un po’ al caldo dopo essere stato fuori al freddo quattordici o quindici ore. Così feci. Mi fermai davanti ad un piccolo supermarket che avevo visto strada facendo. Scesi dal mezzo e mi accorsi che, il nastro adesivo che avevo messo per chiudere la scarpa si era rotto camminandoci, ed aveva esaurito la sua funzione. Non avevo né il tempo né la voglia di rifare la mia “geniale” riparazione e mi affrettai ad entrare. Avevo paura che chiudesse e che restassi senza cena.

Presi velocemente uno di quei cestini di metallo posti all’ingresso, ci misi dentro del pane già confezionato, una scatola di fagioli, della pasta corta e, se non ricordo male, del latte in quelle buste piramidali da mezzo litro che andavano allora tanto in voga. Mi affrettai alla cassa, ma una signora davanti a me, con un grosso carrello pieno di spesa mi anticipò per un soffio. Sembrava che la signora, molto ben vestita e curata, avesse fatto la spesa per un reggimento. Si creò così un piccolo ingorgo, eravamo cinque o sei persone in fila. La signora davanti a me, come se non bastasse, dava anche da parlare alla cassiera, non svelta e che non sembrava troppo interessata al fatto che si fosse creata una certa fila che stava intasando anche l’uscita. Cominciavo a spazientirmi quando, girandomi intorno, mi accorsi di essere l’obbiettivo di numerosi sguardi ed occhiate. Il mio abbigliamento non certo domenicale, le mie scarpe aperte e avvolte dal nastro isolante, le mani annerite ed odorose di grasso, erano oggetto di un’attenzione sospettosa per certi versi, ma, anche e soprattutto di disprezzo per altri. Il nastro finalmente si liberò dei numerosi acquisti della signora che mi precedeva e mi affrettai a porci sopra il contenuto del mio cestino, per così dire ridotto all’essenziale. Mettendomi intanto le mani in tasca dei pantaloni prima e del giubbino poi, mi accorsi che nella fretta, non avevo preso il portafoglio dalla macchina. Rimasi perplesso su cosa fare. Non sapevo se uscire per prenderlo e poi rientrare e scusarmi per non perdere il mio turno. Anche gli altri si accorsero di questa mia… indecisione, interpretandola certamente in modo assai negativo. Misi la mano nel taschino dei pantaloni che non sapevo neanche di avere dove trovai, inaspettatamente, una banconota da duemila lire. Pensai tra me “forse mi bastano”… mi sentivo ancora più guardato, osservato, scrutato. 

Il risultato fu che, a conti fatti, mancavano poco meno di mille lire per saldare la mia spesa che, l’arcigna cassiera, davanti alla mia titubanza, mi richiese con risolutezza, seccata, come se le stessi facendo perdere tempo. Proprio lei che, fino a qualche istante prima, chiacchierava liberamente con la signora che ancora non aveva finito di imbustare i suoi acquisti e che continuava a guardarmi con aria di disprezzo. Decisi tra me, forse per verificare dove potesse arrivare l’intolleranza e l’ipocrisia dei presenti, di fare la parte del povero, che non aveva il danaro mancante e, come si suol dire… tanto tuonò che piovve.

Il mormorio dei presenti, tutti molto infastiditi, mi fecero capire che l’avevo combinata bella…

mi sentii come se fossi stato colpito da un pugno nello stomaco cosicché, il rossore della vergogna mi arrivò fin sopra i capelli. Inaspettatamente una donnina già anziana, in fondo alla fila, vestita assai modestamente e con anch’essa un cestino mezzo vuoto, con fare discreto e con un sorriso compassionevole, mi propose di accettare le mille lire che mi mancavano. Superai il mio iniziale stupore, la ringraziai molto ed accettai la sua offerta, deciso a completare la mia farsa. Presi la mia spesa e, gettando un ultimo sguardo ai presenti sempre più inorriditi, uscii di corsa, quasi incespicando per la suola della mia scarpa. Arrivato al pulmino presi dal portafoglio l’unico pezzo da cinquanta mila lire che avevo. Attesi fuori dal supermercato quello che definii poi il mio Angelo Custode del giorno e le consegnai la banconota. La donnina incredula inizialmente rifiutò. Dovetti insistere molto e raccontarle tutto, solo allora le accettò. Prendendomi la mano, mi disse che benedetto era stato quell’incontro che le consentiva di arrivare così, alla fine del mese, quando avrebbe riscosso la sua modestissima pensione. Mi abbracciò e, nel salutarmi, mi canticchiò il ritornello di una vecchia canzone che avevo già sentito da mio padre: “Se potessi avere… mille lire al mese…”

Quel giorno capii molte cose che lascio al lettore dedurre.

Alcuni anni dopo rividi la nonnina che accompagnava il figlio con la moglie e due bambini per acquistare un grazioso appartamento, come seconda casa, in una mia iniziativa immobiliare. Solo dopo mi ricordai dove l’avessi già vista, ma non le dissi mai nulla. Anche lei mi riconobbe forse, ma fece la stessa cosa. 

Capii, solo allora, quanto fosse piccolo il mondo e come girasse velocemente. 

Un paio di anni fa, incontrando il figlio, gli chiesi della mamma. Era morta la settimana prima. Rattristato lo salutai, anche a lui non volli dire e raccontare nulla.

L’Angelo della tolleranza e dell’aiuto al prossimo era volato al cielo.

Scrivo questa storia mentre un folle, malato di delirio di onnipotenza, ha ordinato l’invasione dell’Ucraina. Molti militari e molti civili moriranno, tra essi vecchi e bambini. Il diavolo dell’intolleranza e della bramosia di potere purtroppo è sempre presente. Nel domandarmi dove sta andando il mondo, confido nell’azione di quegli Angeli che, certamente, non ci faranno mancare il loro aiuto.

Foto: Pixabay