Domenica bestiale

Ognuno di noi ha, lo speriamo, un ricordo tipicamente estivo, fatto di asfalto e sabbia, pelle esposta, nuove amicizie e progetti apparentemente perfetti; questa avventura per le ambientazioni ricorda “Casotto”, un vecchio film con Tognazzi, Proietti e Jodie Foster… ma è molto più divertente.

È una storia vera! La sua comicità si fonda soprattutto sulla semplicità dei personaggi che l’hanno vissuta e sugli incredibili accadimenti che, può sembrare impossibile, l’hanno generata. È una true comic story, leggeremmo sulle didascalie della presentazione di un film che, guarda caso, per protagonista ha il sottoscritto.

Ero poco più che adolescente ma il mio precoce sviluppo fisico contribuiva a far credere che avessi qualche anno in più di quelli anagrafici. In diverse circostanze ne approfittavo per far cose che, normalmente, i ragazzi della mia età non facevano. Oggi, forse, pago questa precocità restituendo i benefici ricevuti di allora e dimostrando qualche anno in più ma, come tutti sappiamo, la vita è un do ut des.

Come ben sa chi mi conosce e legge, nasco in una famiglia numerosa, patriarcale, non certo abbiente, ma laboriosa e molto unita. La poca distanza di età tra noi figli – due, massimo tre anni di differenza tra ognuno di noi – concorreva spesso a far si che, chi si trovasse in mezzo, godesse o subisse vantaggi o svantaggi di quella posizione a seconda delle circostanze.

Non sto certo a spiegare cosa e quali fossero i pro e i contro dello stare in mezzo, perché con un po’ di immaginazione credo siano chiari a tutti. Io ero l’ultimo dei figli maschi, dopo di me solo una sorellina. Sulla carta avevo forse la posizione più sfigata all’interno della mia famiglia. Ma, vuoi perché sveglio e simpatico oltre che insistente fino all’inverosimile, vuoi perché chi mi precedeva aveva già aperto la strada e tutte quelle “faticose concessioni” che nella mia famiglia dovevi conquistare, ne approfittavo per ritenerle come acquisite, anche se così non erano.

In questa storia – tutta vera, lo ribadisco – il mio apripista è mio fratello Massimo. Più grande di me di sei anni e che, non mi vergogno a dirlo, cercavo di emulare. Ci somigliavamo molto, anzi moltissimo, ma quando si hanno sedici o diciassette anni, sei anni in più fanno la differenza. Grazie al mio aspetto, riuscivo ad accorciare enormemente questo divario ma, in altre situazioni e circostanze ero costretto ad imitare ed affidarmi, per così dire, al suo estro ed al suo modus operandi.

Si dà il caso che, quel sabato d’estate, mio fratello mi chiese se avessi la possibilità di procurargli, per così dire, una ragazza con cui uscire la domenica, in quanto la sua era andata fuori città con i suoi genitori. Subito mi resi disponibile. Infatti proprio in quel periodo frequentavo una ragazza di una ventina di anni e piena di amiche. In men che non si dica, organizzai per il giorno dopo, domenica, e su suggerimento di mio fratello, saremmo andati al mare. 

Fu così che, il pomeriggio del sabato, Massimo cominciò con le sue elucubrazioni. Pensò che, per far colpo sulle due ragazze dovessimo andare al mare non con gli asciugamani ma con degli accappatoi.

Personalmente non sapevo quasi cosa fossero, avendoli visti solo in televisione.

Non che lui ne avesse mai adoperato qualcuno ma, per la circostanza, si mise in testa che gli accappatoi fossero essenziali! Consegnai a lui quei pochi soldi che avevo e con la stessa macchina che il giorno dopo ci avrebbe portati al mare, ovvero la mitica 126 di mio padre, andammo ad acquistarli. La signora del negozio ci consigliò: il mio verde e quello di Massimo azzurro. Erano di un tessuto che non avevo mai visto ma, fra me e me, pensai che forse gli accappatoi fossero tutti così.

Per le taglie fece tutto la signora e poco dopo, con la soddisfazione stampata sul viso, uscimmo dal negozio. Appena fuori, sul marciapiede, un immigrato di colore con un telo in terra che vendeva occhiali da sole , mi tirò per un braccio per mostrarmeli. Mi feci prendere dalla voglia e suggerii a Massimo che due paia di occhiali, uno per ciascuno; sarebbero stati la ciliegina sulla torta per quella giornata al mare con le due donzelle che si preannunciava a dir poco a… lieto fine. Per mille lire, comprammo le due paia di occhiali da sole; bellissimi, “a goccia” come si suol dire, e con il cartellino attaccato “Veri Polaroid” che ci affrettammo a togliere. Mio fratello Massimo, anche lui sodisfatto dall’acquisto annuì dicendo “ Ecco, ora siamo a posto”. Tenni gli occhiali da sole fino a sera, tanto mi sembrava impossibile possederli. Tornammo a casa. Orgogliosi facemmo vedere a mia madre i nostri acquisti di cui, per la verità, non mi sembrò molto convinta.

La domenica mattina presto, con gli accappatoi nel cofano, passammo a prendere le nostre due “prede” per recarci al mare a Pomezia.

In macchina, strada facendo, naturalmente Massimo alla guida, rimasi incantato dal suo modo suadente e gentile con la “sua ragazza”. Pensai tra me “La conosce solo da mezz’ora e l’ha già conquistata”. Arrivammo e, nella mia ingenuità, indicai quella che era, secondo me, la più carina spiaggia libera. Massimo prontamente mi chiuse la bocca dicendo che saremmo andati in uno stabilimento balneare per prendere cabina ed ombrellone. 

Non capivo a cosa servisse la cabina; mai prima di allora l’avevamo presa ma, per non contraddire Massimo o fare la figura del “ ragazzino”, non dissi nulla. Arrivammo alla meta, prendemmo tutti le nostre cose, e Massimo, consegnandomi il suo portafogli, mi disse di andare a perfezionare il noleggio della cabina e dell’ombrellone. Lui e le ragazze avrebbero intanto fatto un giro sulla spiaggia.

Arrivai così alla cassa per il noleggio e lessi i prezzi esposti. Rimasi interdetto! Guardai nel portafogli di Massimo che davanti alle gentili donzelle mi aveva consegnato come se fosse pieno di banconote. Non c’erano, in realtà, che poche migliaia di lire. Contrattai allora con l’addetto al noleggio fino allo sfinimento dello stesso, con il brillante risultato di pagare ombrellone e cabina a meno della metà del prezzo indicato. 

Certo, la cabina, la prima di una fila di tre, non mi sembrava nuovissima… ma ormai era quella. Ci spogliammo, avevamo già sotto i costumi, aprimmo l’ombrellone e cominciammo la nostra festosa giornata con un bagno nell’acqua frizzantina del mattino. Massimo, in acqua, ebbe subito un primo approccio con la sua ragazza ampiamente ricambiato.

Dopo il lungo bagno, ritornati a riva, tirammo fuori i nostri “bellissimi” accappatoi. Per mio fratello tutto quasi normale, il mio era visibilmente enorme. Le spalle mi arrivavano ai gomiti cosicché le maniche erano terribilmente lunghe. L’accappatoio stesso toccava per terra e, se camminavo, correvo il rischio di incespicare. Era veramente enorme, ed io mi sentii terribilmente ridicolo! Mio fratello minimizzò la cosa, dicendo di aver preso per sbaglio l’accappatoio di mio padre.

Trovai formidabile il savoir-faire di mio fratello, che era sempre pronto a giustificare e a spiegare tutto. A parte il fatto che ero veramente buffo, sembravo infatti Cucciolo di Biancaneve e i Sette Nani, il tessuto dell’accappatoio non era affatto di spugna, come capii solo anni dopo; non solo non asciugava, anzi addirittura sembrava respingere il bagnato, ma mio fratello lo definì incredibilmente un tessuto di “ cashmere di lino”, morbidissimo e piacevolissimo da tenere indosso. Anche a questa affermazione rimasi affascinato;

Massimo, ai miei occhi, era proprio un aristocratico viveur.

Non ci restava altro da fare che sdraiarci sulla sabbia a prendere il sole, ed il mio accappatoio si prestava benissimo ad accogliere me e la “mia ragazza”. Ci sdraiammo in modo tale che io e Massimo potessimo guardarci, posti sul fianco uno destro e l’altro sinistro, mentre le nostre donzelle si davano così le spalle. Vedere mio fratello che si sbaciucchiava mentre lui vedeva me che facevo lo stesso, ci fece scoppiare a ridere. Lui in realtà resistette, mentre io faticavo a trattenermi. Decisi così di girarmi supino, per non vederlo e non ridere più. 

Il sole bruciava i nostri corpi giovani e muscolosi; i fiammanti occhiali da sole, acquistati per una pipa di tabacco il giorno prima, facevano il resto.

Ero così estasiato che rimasi immobile forse per mezz’ora, mentre la mia bella mi accarezzava il petto.

D’un tratto, sentii un bruciore fortissimo sullo zigomo. Mi toccai. Altra figuraccia! Le lenti degli occhiali “Veri Polaroid” si erano praticamente sciolte al sole, ustionandomi il viso. Anche mio fratello rise da morire e giustificò la cosa dicendo che io ero uno che voleva risparmiare su tutto; non mi definì tirchio, per fortuna, anche perché in cuor suo sapeva bene quanto fossimo in bolletta!

Nel pomeriggio, sentii mio fratello che insisteva con la sua “pulzella” affinché lo accompagnasse in cabina. Allora e solo allora capii le intenzioni di Massimo e a cosa servisse la cabina. Fu così bravo che, minimizzando quali fossero le sue vere intenzioni, convinse la ragazza, forse complice, ad andare in cabina con lui. Seguii con gli occhi il loro andare via mano nella mano, sulla sabbia, per raggiungere la pur malconcia cabina. 

Pensai: “Massimo, nomen omen, è proprio un grande. Devo imparare da lui ancora molte cose”. 

Io e la mia ragazza continuammo naturalmente a prendere il sole ma , dopo solo pochi istanti… PATAPUM!!! Un gran rumore giunse dalle nostre spalle! Ci girammo e vedemmo che tutte e tre le cabine erano crollate mentre Massimo e la sua ragazza erano seminudi in terra tra un mare di assi di legno. L’impeto di mio fratello era alla stregua di un toro nell’arena! 

Molti altri si voltarono per capire cosa fosse accaduto, lo spettacolo era chiaro almeno per me che avevo più o meno assistito a tutto o quasi. Incredibilmente Massimo riuscì a giustificare la cosa! Qualche problema solo con il noleggiatore delle cabine che, non so come fece, riuscì a convincere sostenendo che – essendo le cabine vetuste e attaccate l’una all’altra – nel chiudere la porta della sua, spingendo un po’ erano crollate tutte. Dopo lo spavento iniziale non riuscivo più a trattenermi dal ridere e devo dire che non ero il solo. Poco dopo Massimo per minimizzare l’accaduto ci offrì un ghiacciolo. Era il gelato che costava meno ma lui, sempre lui, sostenne con estrema tranquillità, che al mare era il più indicato.

Poco dopo prendemmo le nostre cose e saliti in macchina rientrammo a Tivoli, non prima di aver accompagnato le nostre donzelle a casa. Una volta soli, io e Massimo, non ne potevamo più dal ridere. Avevamo organizzato una domenica speciale. Eravamo partiti per “suonarle” e ritornavamo “suonati” ma, come disse mio fratello, le nostre ragazze non avrebbero certo dimenticato questo giorno al mare con due baldi giovani. 

Per quello che capivo allora non potevo che dargli ragione, anche perché storie così non accadono tutte le domeniche… per fortuna!

Foto: Maatkare da Pixabay