Il giovane abete Teodoro Russo

Il giovane abete

Per questo Natale vi regalo una favola: anticipare qualcosa sarebbe un peccato. Su, coraggio, leggetela tutta d’un fiato!

La parola “Dicembre” deriva dal latino, ovvero “decimo mese dell’anno”, tale era infatti nel calendario Romano Antico.

Pur essendo il dodicesimo nel nostro, è rimasto in uso tale termine. Sancisce il periodo più oscuro dell’anno, con il solstizio d’inverno, quando il sole sorge più tardi e tramonta prima.

È per altri effetti però il periodo più luminoso, con la Natività che, per noi cristiani, è la conferma che Dio si rivela al mondo per rimanervi fino alla fine dei tempi.

Per la verità, tale momento clou del mese è preannunciato da un’altra importante festività, ossia L’Immacolata Concezione dell’8 dicembre. È la ricorrenza di Maria, Madre di Dio, che è stata concepita scevra dal peccato originale. Non è il dogma della verginità di Maria, ma quello di essere nata, appunto, senza peccato originale.

Ed è l’8 dicembre il giorno in cui tradizionalmente si addobba nelle nostre case l’albero di Natale. È infatti il primo giorno utile per dedicarsi a questa operazione senza nulla togliere alla festività ricorrente e, non di meno, tempo al proprio lavoro. In altre città dello stivale, come a Bari, si preferisce il 6 dicembre, San Nicola, a Milano il 7, Sant’Ambrogio.

Dopo queste poche ma doverose premesse, inizia quanto voglio raccontarvi…

È questa la storia di un albero di Natale che, ogni anno, nel giorno dell’Immacolata veniva addobbato da una giovane mamma e dai suoi due bimbi, un maschietto e una femminuccia.

Era un giovane abete che, cresciuto in un grande vaso, ogni anno, con l’aiuto del padre, veniva introdotto in casa per rimanervi fino all’Epifania. Il nostro albero, pur risentendo un po’ durante quel periodo del tepore all’interno della casa e delle numerose decorazioni, era felice di poter contribuire, soprattutto in quei giorni, a regalare motivi di gioia e serenità a tutta la famiglia.

Sotto di lui, vicino al vaso in cui affondavano le sue radici, venivano riposti regali e dolci a cui faceva ogni sera, quando tutti erano a letto, buona compagnia.

Le tante lucine accese sui suoi rami si rincorrevano, gli solleticavano i piccoli aghi verdi che, pur soffrendo un po’ all’inizio, presto si abituavano e sembravano anch’essi felici di quel vestito luminoso e variopinto che erano chiamati a indossare. La spolverata di finta neve, su di essi, quale ultimo tocco decorativo, rifletteva l’arcobaleno delle mille piccole luci che, insieme alle dolci musiche natalizie, lo ripagavano di ogni sua fatica.

Sulla punta, infine, con non poca fierezza, la decorazione finale, la più visibile e la più importante, che da sempre veniva collocata dal papà dei due bimbi.

Poco distante dal nostro eroico e simpatico abete, sempre il padre, costruiva una casetta di legno, con corteccia di albero e muschio, dove collocava le antiche quanto preziose statuine del presepe che, sempre le stesse, venivano custodite ogni anno con grande cura e gelosia.

Sembravano, quei giorni di serenità e spensieratezza familiare, destinati a non finire mai e a protrarsi per tanto tempo.

Un anno però accadde che il nostro piccolo ma grande abete, nel giorno dell’Immacolata, non fu portato in casa per essere decorato. Capì subito che qualcosa di grave era successo. Vide la giovane donna e i due ormai fanciulli che non apparivano più così spensierati e sereni. All’esterno della casa poi e nello stesso giardino, si percepiva forte l’assenza di chi era dedito alla sua cura, ne raccoglieva le foglie, manteneva in ordine le aiuole e proteggeva quelle piante che pativano particolarmente il gelo di quel periodo.

Anche la terra del suo vaso, mantenuta sempre soffice e umida, ne soffriva, essendosi indurita come non mai. La tristezza e la malinconia regnavano in lui e in quel luogo a cui era così legato insieme a quella che era diventata la sua famiglia. Anche la resina del suo giovane tronco fuoriusciva copiosa, manifestando così tutto il malessere interiore che lo pervadeva.

Un’idea ardita quanto insolita gli balenò in tutta la sua linfa: doveva fare qualcosa, non poteva certo aspettare che il Natale passasse nello sconforto e nella disperazione. Fu così che il nostro eroico alberello decise, notte tempo, di aprire la porta e, senza fare alcun rumore, entrare in casa e collocarsi lì, al centro di quella grande stanza al piano terra, ove ogni anno veniva posto per essere addobbato. 

Il mattino seguente, la giovane mamma e i due fanciulli rimasero stupiti ed esterrefatti nel trovarlo in casa. 

Si chiesero cosa potesse essere accaduto e chi lo avesse portato lì, così pesante e senza fare alcun rumore. La sorpresa e l’incredulità passarono presto in secondo piano, rimandando al dopo di capire chi e come avesse fatto a farlo arrivare lì. 

Iniziarono gli addobbi che i due fanciulli, guidati anche dalla mamma, posero sull’orgoglioso albero. La tristezza e la malinconia si assopirono, le mille luci si accesero di nuovo e illuminarono i volti un po’ meno tristi della mamma e dei due fanciulli. Il più grande, al termine, tirò fuori da uno scaffale una grande scatola di cartone rigido, con la casetta di corteccia fatta dal padre l’anno prima. La sistemò così al suo solito angolo, ne collocò il muschio con cura e parsimonia e posizionò le tradizionali preziose statuine. Tutti allora si strinsero in un abbraccio e qualche lacrima, seppur celata, solcò il volto di ciascuno.

Fu così che il tempo riprese a scorrere, pur con qualche fatica e rimpianto.

La piccola famiglia, grazie anche al nostro sensibile alberello iniziò a trasformarsi. I fanciulli divennero grandi, iniziarono anch’essi il loro percorso di vita. Si sposarono ed ebbero dei figli. La mamma, non più giovane e così tanto forte, non poteva però non pensare spesso a quel giovane abete che, in un momento così triste, aveva saputo rincuorare e tirare su il morale a lei e ai suoi due bimbi. Aveva saputo restituire la forza e il coraggio a quella famiglia, distrutta dal dolore e dalla sofferenza per il vuoto lasciato da una persona così cara.

Il giovane abete, intanto, non più in un vaso, era stato trapiantato nella parte migliore del giardino, crescendo forte e vigoroso, rappresentando un po’ il segno distintivo di quella casa a cui era così tanto affezionato. 

È una favola certo, ma potrebbe non esserlo! Per i fanciulli sicuramente sì, per gli adulti, per tutti noi, un motivo di riflessione e di richiamo ai nostri ricordi, ai nostri pensieri, in un momento in cui, sovente, non si ha più il tempo né la possibilità di poterlo fare.

È, quell’abete, il simbolo di ogni uomo o donna che, in ogni parte del mondo, fa del suo meglio per i propri figli, i propri cari, per la collettività.

Ed oggi più che mai, in questo particolare Dicembre, abbiamo così tanto bisogno, in ogni parte del mondo, di tanti giovani abeti che ci restituiscano serenità e pace e che, entrando in ogni casa, nel giorno dell’Immacolata, facciano riaccendere, insieme alle mille luci colorate, quei valori da cui non possiamo allontanarci né separarci.

Foto: 12019 da Pixabay